I soci di una s.r.l. estinta rispondono dei tributi non versati?

by Luca Mariotti

Il titolo del presente sintetico commento è stato volutamente posto in forma interrogativa. Ciò malgrado i Giudici della V Sezione della Corte di Cassazione nella Sentenza 9672 depositata il 19 aprile 2018 (Pres. Bruschetta, Rel. Fuochi Tinarelli) abbiano risposto in maniera convintamente affermativa.

La questione in generale non potrà però finire qui, riteniamo, perché la sentenza non convince affatto, né sotto il profilo logico-giuridico, né sotto quello sistematico. Almeno se non si riscriverà il codice civile e non si accomuneranno le responsabilità personali dei soci illimitatamente responsabili delle società di persone e quelle dei soci di società di capitali. Che sono sì le s.r.l. di poche persone come nel caso specifico, ma sono anche le società quotate nei mercati, l’estensione alle quali di questi principi creerebbe degli effetti gravissimi nella percezione degli investitori. Ciò visto che il 2495 c.c. e il 2312 c.c., nella lettera delle norme e nella lettura della giurisprudenza, non hanno da questo punto di vista particolari differenze.

Ma andiamo per gradi, riservandoci di commentare la sentenza in modo più approfondito sul prossimo numero del nostro approfondimento mensile.
E’ noto allora che, per quanto riguarda la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali, il nostro codice civile si regola in modo che nelle società di capitali i soci (escluse categorie particolari) non mettano mai a rischio il loro patrimonio personale. Se la società chiude o fallisce niente di negativo arriva (salvo casi patologici) nella loro sfera personale. Al contrario nelle società di persone i beni personali dei soci illimitatamente responsabili sono aggredibili dai creditori sociali.

Al momento della cancellazione della società viene mantenuta questa impostazione. Dopo la cancellazione delle società di capitali i soci continuano ad essere responsabili solo entro l’importo percepito con l’ultimo bilancio di liquidazione. A differenza delle società di persone, nelle quali la responsabilità per debiti sociali permane.

Ed allora cosa succede se una s.r.l. non ha versato delle imposte, ma chiude senza che i soci non abbiano percepito alcunché dal bilancio finale di liquidazione? Nel caso specifico la cartella di pagamento in capo alla società era stata addirittura annullata in appello poiché tardiva. Quindi la s.r.l. era stata cancellata, dal punto di vista fiscale, assolutamente in bonis.

La Corte ricorda le sentenze delle Sezioni Unite (Sez. U, 12 marzo 2013, n. 6070 e n. 6072) che individuano la ratio dell’art. 2495 c.c. «nell’intento d’impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale, che sfugge al controllo del creditore, espropriare quest’ultimo del suo diritto … questo risultato si realizza appieno solo se si riconosce che i debiti non liquidati della società estinta si trasferiscono in capo ai soci, salvo i limiti di responsabilità nella medesima norma indicati».
Il riferimento ai “limiti di responsabilità nella medesima norma indicati” sembrerebbe allora decisivo, insieme al fondamentale precedente nomofilattico.

Invece no.

La Quinta sezione estrapola dalla sentenza delle Sezioni Unite un principio opposto. Poi riconosce (doverosamente) che esiste giurisprudenza in senso favorevole alle garanzie per i soci (Cass., 23 novembre 2016, n. 23916; Cass., 26 giugno 2015, n. 13259; da ultimo Cass. 31 gennaio 2017, n. 2444).

Ma i Giudici aggiungono che queste conclusioni, “come osservato da Cass. 7 aprile 2017, n. 9094 (seguita, in termini ampi, da Cass. 16 giugno 2017, n. 15035), non sono in linea con i principi affermati dalle Sezioni Unite che individuano sempre nei soci coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata (ma non definiti all’esito della cancellazione) a prescindere dall’aver questi goduto o meno di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione”.

Viene pertanto valorizzato “questo più recente orientamento che si ricollega, in termini diretti, al dictum delle citate sentenze n. 6070 e n. 6072, la cui soluzione, come riconosciuto dalla dottrina, è ormai divenuta “diritto vivente”.

In effetti la sentenza si riporta a quella dell’aprile 2017, riproponendone quasi testualmente i termini. A nostro modestissimo avviso già allora non corretti, soprattutto nella lettura che si è inteso operare delle Sezioni Unite (oltre che nei riferimenti civilistici, palesemente distanti dalle norme in tema di cancellazione di società di capitali). Che una sentenza singola, in contrasto con parecchie altre (e con le stesse Sezioni Unite) costituisca da sola un “orientamento”, ormai divenuto “diritto vivente”, pare tuttavia una affermazione non corrispondente al vero.

I risultati operativi di questa lettura sarebbero per tanti aspetti paradossali. A questo punto meglio non cancellare mai le s.r.l. che non hanno pagato imposte. O chiedere il fallimento in proprio, sperando almeno che siano fallibili.

No, proprio non ci ha convinto questa sentenza. Torneremo a parlarne e ci auguriamo che i nostri lettori ci facciano avere le loro valutazioni in merito, visto che l’errore interpretativo potrebbe essere nostro, visto anche che dalla stampa specializzata non abbiamo visto arrivare le critiche che questa sentenza (e quella gemella del 2017) meriterebbero.

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