Operazioni soggettivamente inesistenti: un riepilogo aggiornato e dettagliato dello “stato dell’arte” in materia.

by Luca Mariotti

Ci sembra importante evidenziare il contenuto della ordinanza 19 aprile 2018 n. 9721 della Sezione Tributaria (Pres. Bruschetta, Rel. Nonno) perché, dopo qualche recente approccio della Sesta sezione (numero 3473 e numero 3474 del 13 febbraio 2018) che aveva fatto pensare ad una sostanziale inversione dell’onere della prova, nella citata pronuncia si torna, in maniera sistematica e molto dettagliata, a fissare dei criteri condivisibili. Non passa insomma l’idea alla base delle due ordinanze della sezione filtro del febbraio scorso, per cui l’amministrazione sia chiamata solo a provare la frode dal lato del cedente, mentre il contribuente ha l’onere di dimostrare la sua non conoscibilità nel caso specifico.

Con riferimento alla vicenda di cui si tratta la CTR aveva evidenziato come «il materiale probatorio offerto dall’Ufficio non conforta affatto la tesi propugnata in forza della quale la società I. non poteva non sapere delle frodi sottostanti l’acquisto delle autovetture usate da parte dei fornitori sottoposti ad indagine», atteso che «nessun elemento portato all’attenzione di questo Collegio, infatti, può condurre a ritenere fondata tale presunzione di conoscenza». Inoltre i Giudici regionali davano atto dell’esistenza di una sentenza penale che aveva assolto l’amministratore della società con riferimento agli stessi fatti, sicché della stessa non poteva non tenersi conto, pur non facendo stato nel procedimento tributario, con la conseguenza che l’assenza di consapevolezza in capo all’amministratore «manda assolta anche la società dalle contestazioni di natura tributaria avanzate in questa sede»;

Nel ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate si contesta, tra l’altro, un errore in cui sarebbe incorsa la CTR, ovvero quello di avere considerato la sentenza penale di assoluzione dell’amministratore della I. s.r.l. come unico indizio in base al quale escludere, in capo alla società, la consapevolezza della frode, come se la stessa avesse valenza di giudicato nell’ambito del processo tributario.

La Corte (che accoglierà il ricorso in relazione ad altre questioni) non condivide l’eccezione in quanto la CTR ha considerato la sentenza penale di assoluzione solo come uno degli elementi indiziari che hanno condotto al giudizio di in consapevolezza della frode in capo alla I. s.r.I., leggendola unitamente al quadro probatorio complessivamente acquisito agli atti del procedimento. Quindi non è sbagliato per la Sezione Tributaria derivare un elemento di gidizio dall’esito del processo penale, seppur da analizzare insieme ad altri.

Con riferimento poi alla dibattuta questione dell’onere della prova i Giudici di Legittimità ricordano che nel caso in cui l’Amministrazione contesti che la fatturazione attenga ad operazioni (solo) soggettivamente inesistenti, è possibile negare ad un soggetto passivo il beneficio del diritto a detrazione solamente qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che detto soggetto passivo, al quale sono stati ceduti o forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA commessa dal fornitore o da un altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di tali cessioni o prestazioni.

Cioè è onere della parte pubblica provare la conoscibilità della frode da parte del cessionario.

Segue una ricostruzione molto dettagliata dei principi elaborati dalla giurisprudenza interna fino ad oggi, in dodici punti (che non riportiamo per brevità, rinviando alla motivazione). Vale la pena di sottolineare però il passaggio nel quale si esplicita il principio per cui “l’amministrazione tributaria non può, d’altra parte, esigere in maniera generale che il soggetto passivo che intende esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA, da un lato – al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni a livello degli operatori a monte – verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi a titolo dei quali viene richiesto l’esercizio di tale diritto abbia la qualità di soggetto passivo, che disponesse dei beni di cui trattasi e fosse in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, o, dall’altro lato, che il suddetto soggetto passivo disponga di documenti a tale riguardo. Di conseguenza, dato che il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, spetta all’amministrazione tributaria dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di cessioni (cfr. CGUE 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C-439/04 e C-440/04; CGUE 21 giugno 2012, Mahagében e Dóvid, C-80/11 e C-142/11; CGUE 6 settembre 2012, Tóth, C- 324/11; CGUE 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11; CGUE 31 gennaio 2013, Stroy Trans, C-642/11)”.

A questa trattazione viene aggiunto anche un riferimento alla sentenza CGUE 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp, C-277/14 che ha precisato che «le disposizioni della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva  2002/38/CE del Consiglio, del 7 maggio 2002, devono essere interpretate  nel senso che esse ostano a una normativa nazionale, quale quella di cui al procedimento principale, che neghi a un soggetto passivo il diritto di detrarre l’imposta del valore aggiunto dovuta o assolta per beni che gli sono stati ceduti sulla base dei rilievi che la fattura è stata emessa da un soggetto che deve essere considerato, con riferimento ai criteri previsti da tale normativa, un soggetto inesistente e che è impossibile identificare il vero fornitore dei beni, tranne nel caso in cui si dimostri, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare».

Onere della prova dunque a carico dell’Amministrazione, con riferimento (testualmente) ad  elementi oggettivi e senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione era collocata nel contesto di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto. Si tratta di una circostanza che deve essere verificata dal giudice di merito. Che si avvarrà a tal fine anche delle risultanze delle indagini penali.

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