Cessione di beni riqualificata come cessione di azienda e assoggettata ad imposta di registro con provvedimento definitivo: spetta il rimborso dell’IVA versata

by AdminStudio

 

“Qualora una cessione di beni (nella specie, rimanenze di magazzino) sia dall’Amministrazione finanziaria, con provvedimento definitivo, assoggettata ad imposta di registro (siccome ritenuta integrare un’ipotesi di cessione d’azienda) anziché ad IVA, e qualora l’IVA sia già stata assolta dal cedente senza che il cessionario gli abbia corrisposto quanto addebitatogli in rivalsa, il cedente ha diritto al rimborso, alla luce dei principi unionali di neutralità ed effettività, nei due anni dalla definitività del provvedimento, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30-ter, comma 2, non ostandovi l’impossibilità di adempiere all’obbligazione, prevista da detto comma, di restituzione al cessionario, purché, in ragione di rettifica della detrazione dell’IVA ad opera di questi, non ne derivi pregiudizio per l’erario”.

Questo il principio di diritto enunciato dalla Sezione Tributaria della Corte Sentenza 22 agosto 2023, n. 25013 (Pres. Bruschetta, Rel. Nonno) respingendo un ricorso dell’Agenzia delle Entrate nel quale si sosteneva la tesi opposta.

La Corte ricorda la precedente giurisprudenza favorevole alle tesi dell’Amministrazione.

E’ vero infatti che secondo Cass. n. 19478 del 2016, aveva escluso che che finanche la pendenza del giudizio tributario avente ad oggetto la contestazione, da parte del contribuente, dell’imposta di registro vantata dall’Amministrazione configuri un impedimento giuridico all’esercizio del diritto al rimborso IVA.

D’altro canto sui termini di decadenza della domanda di rimborso, in precedenza, Cass. n. 3306 del 2004 aveva statuito, che, in relazione ad operazione rientrante in un’ipotesi di cessione di azienda ai sensi del D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 2, come tale assoggettabile alla sola imposta di registro, che il diritto alla restituzione dell’IVA erroneamente versata dal cedente, trattandosi di pagamento indebito sin dall’origine, sorge già con il versamento, sicché è da tale data che decorre il termine biennale per la domanda di rimborso di cui al detto art. 16, non sussistendo norme specifiche applicabili al caso; non rileva, in proposito, l’incertezza soggettiva sul diritto al rimborso, che è questione di mero fatto, non incidente sulla possibilità giuridica di ripetere l’indebito e, quindi, sulla decorrenza del termine, in base al principio generale di cui all’art. 2935 c.c. Analogamente, per i tributi costituzionalmente illegittimi o in contrasto, sin dall’origine, con l’ordinamento comunitario, il termine per la ripetizione decorre di norma dalla data del pagamento, e non dalla sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale o della contrarietà all’ordinamento comunitario.

Ma al contempo i Giudici di Legittimità spiegano perché questa lettura vada superata. Infatti per la Corte, al cospetto della complessiva situazione normativa fissata, in allora, nel D.P.R. n. 636 del 1972, artt. 16, comma 6, e D.Lgs. n. 546 del 1992, 21, comma 2, l’introduzione, non tanto in generale del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30-ter, quanto piuttosto nello specifico del suo comma 2 vi è stato un momento evolutivo rispetto al passato, con conseguente superamento della giurisprudenza in precedenza venutasi a formare.

Il dato storicamente e sistematicamente rilevante è rappresentato da ciò che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30-ter fa seguito, non solo a CGUE, sentenza Banca Antoniana Popolare Veneta Spa ma anche alla procedura d’infrazione aperta dalla Commissione Europea contro l’Italia, in conseguenza del modo restrittivo in cui la giurisprudenza di legittimità aveva recepito detta sentenza della Corte di giustizia.

In siffatto contesto, il D.P.R. n. 633 del 1972, comma 1 dell’art. 30-ter, come rilevato, costituisce una sorta di positivizzazione di approdi ampiamente raggiunti – in favore del contribuente, sulla base soprattutto del principio di effettività di marca unionale – dalla giurisprudenza di legittimità.

Il comma 2 possiede invece una carica innovativa perché, ponendosi pur sempre nella scia del comma 1, contempla il caso particolare, ricorrente nella specie, dell’accertamento in via definitiva dell’Amministrazione stessa in ordine alla non debenza dell’imposta.

In sostanza la precedente interpretazione della Corte di cassazione sembra confliggere con i principi di effettività e neutralità, in tutti i casi in cui l’Amministrazione fiscale è consapevole dell’applicazione indebita dell’imposta e dell’inesistenza di un conseguente rischio fiscale.

 

 

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