Oggi la prima pagina del quotidiano “La Verità” ha titolato “Lo Stato non paga? Il giudice lo perdona” con riferimento alla ordinanza n. 12708 del 9 maggio 2024 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Cataldi, Rel. Di Marzio). E siamo andati a leggerne il contenuto anche se risalente a due mesi fa. Apprendendo con stupore alcuni principi di diritto enunciati come consolidati ma a dire il vero poco convincenti.
Il caso è quello di una s.r.l. che non ha potuto pagare le imposte regolarmente giacché le forniture che aveva effettuato nei confronti della pubblica amministrazione non erano state pagate. La CTR aveva ritenuto che per la particolare situazione la società non fosse sanzionabile per il principio di forza maggiore. In buona sostanza secondo i Giudici di appello vi era difetto del requisito della colpevolezza previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 472/1997.
La Corte pone quindi la questione se possa ritenersi ricorrente, in presenza del tardivo pagamento di tributi, e del concomitante ritardato adempimento di proprie obbligazioni da parte della P.A., una causa di forza maggiore che giustifichi la condotta violativa degli obblighi tributari da parte della contribuente, ed è correttamente evidenziata dall’Amministrazione finanziaria nel suo ricorso.
Ricorda che in precedenti pronunce ha già avuto modo di esaminare la possibilità di considerare non colpevole la condotta del debitore fiscale inadempiente che si è trovato in difficoltà economica a causa della condotta di terzi, inclusa la P.A., ed ha raggiunto orientamenti interpretativi ormai consolidati. Si è infatti condivisibilmente statuito, con estrema chiarezza, che “in tema di sanzioni tributarie, posto che il diritto sanzionatorio ha natura punitiva, la forza maggiore va intesa secondo la sua accezione penalistica, e va quindi riferita ad un avvenimento imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri comportamenti, elidendo il requisito della coscienza e volontarietà della condotta; ne consegue che non risponde a tale nozione la crisi di liquidità derivante dal reiterato, per quanto grave, inadempimento di pubbliche amministrazioni debitrici, peraltro prevedibile”, Cass. sez. V, 6.4.2022, n. 11111.
Nel caso di specie non ricorre alcun evento imprevedibile, essendo il ritardato pagamento della P.A. un fenomeno (purtroppo) ricorrente, ed essendo onere dell’imprenditore predisporre quanto necessario (accantonamenti, mutui) per poter versare il dovuto all’Erario, pur in presenza di significativi ritardi della P.A. nella corresponsione anche di cospicui importi.
Non si è del resto mancato di specificare che “in materia tributaria e fiscale, la nozione di forza maggiore richiede la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi, dovendo la sussistenza di tali elementi essere oggetto di idonea indagine da parte del giudice, sicché non ricorre in via automatica l’esimente in esame nel caso di mancato pagamento dovuto alla temporanea mancanza di liquidità”.
Forse però in questo mare di affermazioni che ci sia consentito definire generiche sfugge un elemento: se è normale il rischio di insoluto non è normale che un debitore sanzioni il creditore di un mancato pagamento quando lui stesso è inadempiente. E se è accettabile che la presenza di un interesse pubblico non consenta l’adempimento dell’obbligazione tributaria mediante compensazione (1241 c.c.) è parimenti inaccettabile che il debitore inadempiente si avvantaggi delle difficoltà finanziarie causate al creditore addirittura sanzionandolo.
Addirittura irrispettosa dell’imprenditore beffato è l’affermazione per cui “L’attività d’impresa è per sua natura rischiosa, e richiede che sia sempre effettuata una valutazione prognostica in ordine ai pagamenti attesi ed agli oneri fiscali da fronteggiare in presenza dell’eventuale (omesso o) tardivo adempimento del debitore, sia esso la P.A. oppure un privato, ricercando i fondi con i quali far fronte alle proprie obbligazioni tributarie. In ordine al ricordato elemento soggettivo, poi, occorre pure rilevare che la contribuente neppure allega di essersi attivata in alcun modo al fine di reperire le somme con le quali far fronte alle proprie obbligazioni tributarie”.
Pronunce come queste non fanno onore a chi, giudicando, premia il debitore inadempiente e fanno davvero scricchiolare il rapporto fiduciario del cittadino con le istituzioni. E con i Principi, giacché non si capisce dove risieda in questo caso la capacità contributiva in termini di effettività al momento in cui l’obbligazione sorge ma il pagamento da parte del debitore/creditore non vi è stato. Ciò ad onta di ogni orientamento, magari anche consolidato ma sbagliatissimo.