Operazioni soggettivamente inesistenti: grava sull’amministrazione la prova della consapevolezza che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta.

by AdminStudio

Il principale quotidiano economico nazionale riporta oggi il sunto di una interessante sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Lombardia, Sesta Sezione, risalente allo scorso 8 febbraio 2024 (n. 428, Pres. Venditti, Rel. Capuzzi).

Sappiamo che una volta dimostrata la oggettiva esistenza dell’acquisto (e quindi la funzione di interposto nell’interesse del reale venditore della cartiera) si chiede al contribuente di dare conto del livello di attenzione osservato in occasione degli acquisti. Visite documentabili presso il fornitore, mail intrattenute coi diversi comparti, DURC e certificati camerali regolari sono sicuramente degli elementi difensivi importanti.

Non si pensa sempre nella dovuta maniera che l’onere probatorio non è a carico del contribuente. E anche i Giudici Tributari cadono nel tranello.

La CGT Lombardia invece riporta correttamente i principi declinati dalla Suprema Corte e dalla Corte UE, precisando che “in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” (così Cass. n. 9851 del 20/04/2018, alla cui motivazione integralmente si rimanda; conf. Cass. n. 27555 del 30/10/2018; Cass. n. 27566 del 30/10/2018).” (cfr Cassazione civile sez. trib., 09/08/2022, n. 24532).

Secondo la Corte l’Ufficio ha provato solo la fittizietà soggettiva del fornitore e il fatto che avesse intrattenuto rapporti commerciali con la contribuente.

La conclusione è quindi il rigetto dell’appello dell’Agenzia delle Entrate per l’insufficienza evdiente degli elementi addotti dall’ufficio, idonea da sola ad annullare l’accertamento, essendo l’onere di fornire elementi indiziari posto a suo carico.

La questione avrebbe potuto naturalmente esaurirsi qui.

La CGT aggiunge peraltro che la società accertata ha dimostrato comunque di aver verificato, prima di intraprendere il rapporto commerciale, che il fornitore era esistente ed operativo attraverso l’estrazione di una visura camerale; inoltre, aveva verificato, mediante ricerche eseguite su web, che la società partecipava da molti anni (anche nel periodo rilevante ai fini della causa che va dal 2013 al 2017) ad appalti pubblici ed era iscritta sul MEPA, Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione utilizzato per l’acquisto di beni e servizi. Inoltre, la società fornitrice (cioè la cartiera) dal 2017 al 2019 quando già era sotto indagine penale, si era aggiudicata diversi appalti indetti dall’Agenzia delle Entrate del Veneto e dalla Agenzia delle Entrate-Direzione Regionale del Friuli.

Non si cita nella sentenza espressamente il nuovo comma 5-bis dell’articolo 7 del D.Lgs. 546/92 in tema di onere probatorio a carico della parte pubblica del rapporto di imposta. Norma oramai largamente applicata (giustamente!) dai giudici di merito più aggiornati ed avveduti e capace di rafforzare i principi richiamati dalla CGT Lombardia.

 

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