Liquidazione delle imposte per ritenuta “non operatività” di una società: non è sufficiente la cartella emessa ex art. 36-bis.

by AdminStudio

La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione esamina nella Ordinanza 21 febbraio 2024, n. 4675 (Pres. Napolitano, Rel. Lume) un ricorso dell’Agenzia delle Entrate in una vicenda che ha per oggetto una cartella di pagamento emessa ex art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 con cui viene richiesto il pagamento per l’anno 2008 a carico di una società ritenuta non operativa.

La CTP di Catanzaro dichiarava inammissibile perché tardivo il ricorso della società.

La CTR della Calabria accoglieva l’appello, ritenendo il ricorso tempestivo e fondato nel merito, in base ad un giudicato esterno costituito dalla sentenza della CTP di Catanzaro n. 134/01/2013 depositata in data 6/05/2013.

La Corte rileva come nel giudizio di primo grado la CTP aveva affermato in particolare che “in via preliminare ritiene questo Collegio che l’ente impositore per contestare lo stato di società non operativa avrebbe dovuto procedere ad accertamento ex art. 41 bis d.P.R. n. 600 del 1973 e non procedere, come nel caso di specie, col controllo automatizzato ex art. 36 bis d.P.R. n. 600 del 1973, poiché la previsione non rientra tra i casi espressamente previsti dalla normativa vigente” e poi prosegue affermando che “anche le eccezioni di merito sono fondate, per cui il ricorso, anche sotto tale aspetto, deve trovare accoglimento. Con la documentazione in atti parte ricorrente ha dimostrato che al caso che occupa non può essere applicato l’art. 30 della legge n. 724 del 1994. Invero la Collants Srl rappresenta un caso eclatante di impresa costituita per l’esercizio di attività industriale per la produzione di maglieria e biancheria intima che tuttavia non ha raggiunto gli obiettivi previsti a causa della congiuntura sfavorevole che ha investito l’intero settore”.

I Giudici di Legittimità rilevano come in tali casi la Corte abbia reiteratamente ritenuto che “In materia di società di comodo, l’Amministrazione finanziaria non può emettere la cartella ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ammissibile solo se fondata su un controllo meramente cartolare, per l’importo indicato dal contribuente quale risultato del test di operatività, atteso che i parametri di cui all’art. 30 della l. n. 724 del 1994 (nel testo risultante dalle modifiche apportategli dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., dalla l. n. 248 del 2006) non rappresentano il reddito effettivamente percepito, ma dati presuntivi, il cui mancato raggiungimento costituisce, salva la prova contraria, un elemento sintomatico della natura non operativa della società” (Cass. 12/12/2016, n. 25472; conformi Cass. 29/12/2020, n. 29734; Cass. 28/04/2021, n. 11153; Cass. 29/12/2021, n. 41840; Cass. 16/02/2022, n. 5016).

Si è segnalato che tale orientamento trova conforto anche nella prassi operativa della stessa Amministrazione, atteso che in vari giudizi l’Agenzia delle entrate aveva posto in rilievo che “con la Direttiva n. 8 del 12 febbraio 2013 ha sollecitato “l’abbandono delle controversie instaurate avverso cartelle di pagamento emesse dagli uffici a seguito di controllo automatizzato delle dichiarazioni per recuperare le imposte dovute sul reddito minimo delle società non operative”, affermando che “la contestazione relativa all’omesso adeguamento al reddito minimo deve trovare la sua naturale sede nella fase di accertamento e non in quella di liquidazione della dichiarazione”” (Cass. 29/12/2020, n. 29734, cit., in motivazione).

Si è anche avuto cura di distinguere dal caso in cui la società dichiari reddito zero il caso in cui l’Amministrazione non aveva calcolato l’imposta autonomamente (utilizzando e qualificando come effettivo il reddito risultato dal test di operatività e determinato secondo i parametri presuntivi previsti dall’art. 30 della legge n. 724 del 1994, nel testo applicabile ratione temporis), ma si era limitata a procedere alla liquidazione nella misura dichiarata come dovuta dalla stessa società contribuente (adeguatasi nella dichiarazione al reddito minimo derivante dalla disciplina sulle società di comodo), poi non versata (cfr. Cass. 06/02/2019, n. 3394; Cass. 15/09/2021, n. 24811).

Quanto poi alla portata del giudicato.

E’ stato affermato che nel processo tributario, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano ad oggetto un medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto decisivo comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto già accertato e risolto, anche laddove il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle costituenti lo scopo ed il petitum del primo (Cass. 16/05/2019, n. 13152); nonché che nel processo tributario, il principio ritraibile dall’art. 2909 cod. civ. – secondo cui il giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, entro i limiti oggettivi dati dai suoi elementi costitutivi, ovvero della causa petendi, intesa come titolo dell’azione proposta, e del bene della vita che ne forma l’oggetto (petitum mediato), a prescindere dal tipo di sentenza adottata (petitum immediato) – è applicabile anche nel caso in cui gli atti tributari impugnati in due giudizi siano diversi (nella specie, un diniego di condono ed un avviso di accertamento relativo ad una delle annualità oggetto della richiesta di condono), purché sia identico l’oggetto del giudizio medesimo, riferito al rapporto tributario sottostante (Cass. 30/10/2017, n. 25798).

Chiarito quanto sopra e cioè che nel caso di specie era stata emessa cartella per contestare lo stato di società non operativa, la pronuncia resa dalla CTP ha deciso non solo sulla illegittimità del ricorso alla procedura automatizzata ma anche sulla insussistenza dei presupposti per l’applicazione della disciplina delle società non operative, sostanzialmente ritenendo la coesistenza di un vizio di forma dell’atto e di un vizio di merito, accertando, in base ai documenti offerti dalla società, che essa non aveva raggiunto gli obiettivi previsti a causa della congiuntura sfavorevole che aveva investito l’intero settore; tale pronuncia, che non le era preclusa, non ha natura apodittica né appare resa in via meramente ipotetica (non potendosi ritenere tale argomentata affermazione una mera osservazione ad abundantiam).

Pertanto, la Suprema Corte ritiene che la CTR correttamente abbia ritenuto sussistente il giudicato per il medesimo anno di imposta. Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate viene quindi respinto.

 

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