Le caratteristiche dell’accertamento sintetico e della prova contraria secondo la Sezione Tributaria. Correlazione delle entrate con le spese non necessariamente basata sulla corrispondenza rigida, ma quanto meno sulla possibilità del collegamento.

by AdminStudio

“In tema di accertamento cd. sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva da risorse di natura non reddituale di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi dell’art. 38, comma 6, d.P.R. n. 600 del 1973 (applicabile “ratione temporis”), per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva a tali ulteriori redditi, è onerato della prova contraria in ordine alla loro disponibilità, alla loro entità ed alla durata del relativo possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti da cui emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere (ex plurimis v. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16637 del 04/08/2020; da ultimo conforme Sez. 5, Ordinanza n. 38060 del 02/12/2021)”.

Questo il principio di diritto ribadito nella ordinanza n. 1411 del 15 gennaio 2024 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Cataldi, Rel. Macagno). L’ordinanza, che accoglie due motivi di ricorso dell’Agenzia delle Entrate, si presenta interessante perché ripercorre i principi alla base dell’accertamento sintetico e delle relative prove contrarie.

Al riguardo viene ricordato che l’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 disciplina il metodo di accertamento sintetico del reddito e, nel testo applicabile ratione temporis (cioè tra la legge n. 413 del 1991 ed il d.l. n. 78 del 2010, convertita dalla legge n. 122 del 2010), prevede, da un lato, la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento; dall’altro, prevede le “spese per incrementi patrimoniali”, ossia quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente, stabilendo in tal caso una presunzione di imputabilità del reddito, in quote costanti, all’anno in cui la spesa è stata effettuata ed ai cinque precedenti, ed introducendo una disciplina di favore, adottata in base all’id quod plerumque accidit, ossia al fatto che la capacità di effettuare una determinata spesa ben può attribuirsi non al reddito prodotto nello stesso anno d’imposta cui l’accertamento si riferisce, bensì alla disponibilità di capitale accumulato negli anni precedenti.

Resta salva, in ogni caso, la prova contraria a carico del contribuente, il quale può dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito, in tutto o in parte, da redditi soggetti a ritenute alla fonte o esenti da imposta ovvero da finanziamenti di terzi (come ribadito anche da Cass., sez. 5, 30/05/2018, n. 13602), o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass., sez. 5, 24/10/2005, n. 20588; Cass., sez. 5, 19/04/2013, n. 9539; Cass., sez. 5, 7/03/2014, n. 5365; Cass., sez. 6 – 5, 10/08/2016, n. 16912; Cass., sez. 6 – 5, 1/09/2016, n. 17487; Cass., sez. 5, 20/01/2017, n. 1510).

In presenza dei presupposti previsti dall’art. 38, la norma non impone, dunque, ulteriore onere all’amministrazione, ma piuttosto fa gravare sul contribuente l’onere di dimostrare, secondo il tenore letterale del sesto comma del citato art. 38, che “il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte”, con la precisazione che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”. La prova incombente sul contribuente non è comunque tipizzata, sicché essa può essere data con qualsiasi mezzo idoneo a dimostrare la provenienza non reddituale dell’elemento accertato dal Fisco e la durata del possesso (cfr. Cass., sez.5, 8/10/2020, n.28157).

Al fine di meglio delimitare l’ambito della prova contraria gravante sul contribuente, questa Corte ha precisato che la prova documentale richiesta dalla norma in grado di superare la presunzione di maggiore reddito ben può essere fornita con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo alla parte contribuente, idonei a dimostrare, mediante l’indicazione dell’entità dei redditi e delle date dei movimenti, anche la “durata” del possesso dei redditi e, quindi, non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente (Cass., sez. 6 – 5, 16/05/2017, n. 12214; Cass. sez. 6 – 5, 16/05/2018, n. 12026; Cass., sez. 6 – 5, 23/03/2018, n. 7389). È stata quindi ritenuta idonea e sufficiente la documentazione bancaria rappresentativa della “sequenza temporale dell’operazione di accredito e poi di quella di addebito degli assegni circolari utilizzati per l’acquisto” (Cass., sez. 5, 22/03/2017, n. 7258).

Occorre tuttavia, come si legge nel principio di diritto riportato sopra che la produzione di documenti faccia emergere elementi sintomatici del fatto che il collegamento con le spese, seppur non necessariamente correlato spesa per spesa, sia possibile o almeno plausibile.

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