L’acquisto di crediti fiscali fittizi configura il reato di cui all’art. 3 del Decreto legislativo n. 74/2000.

by AdminStudio

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici si configura anche quando si acquistano dei crediti di imposta che si sa essere inesistenti.

Lo precisa la Terza Sezione penale della Corte di Cassazione nella sentenza 28 febbraio 2024 n. 8653 (Pres. Andreazza, Rel. Liberati).

Nel caso specifico si era verificato che il rappresentante legale di una società a responsabilità limitata sia stato condannato nei due gradi di giudizio per il predetto reato poiché risultava aver indicato in dichiarazione crediti di imposta insistenti ceduti da altra società. In particolare era stato appurato che aveva acquistato 240mila euro di crediti di imposta per investimenti in aree svantaggiate.

I giudici di merito avevano ritenuto del tutto irrilevante la denuncia per truffa presentata dall’imputato evidenziando che risultava invece evidente che egli fosse a conoscenza della fittizietà del credito acquisito e riportato in dichiarazione. In particolare la società cedente non aveva ottenuto il nulla osta per la cessione, era sconosciuta al fisco, non avendo mai presentato alcuna dichiarazione fiscale, né depositato alcun bilancio ed era inoltre evidente la sproporzione del corrispettivo di tali cessioni (pari a Euro 240.000,00 a fronte del valore dei crediti ceduti, pari a Euro 1.625.065,00). Venivano anche rilevate dalle anomalie presenti nell’utilizzo di tale corrispettivo (ceduto alla società, sottoposto a custodia giudiziaria, e poi versato a due avvocati).

Nel ricorso per Cassazione veniva evidenziata l’assenza del dolo specifico, sia per la somma considerevole pagata, sia per l’assistenza ricevuta da professionisti esperti ed infine l’imprenditore aveva presentato, come detto, una denuncia per truffa nei confronti di coloro cui l’imprenditore si era affidato. Secondo la Corte però la sussistenza dell’elemento soggettivo è stata giustificata attraverso la considerazione di una pluralità di elementi, ritenuti, in modo non manifestamente illogico, dimostrativi sia della piena consapevolezza da parte del ricorrente della inesistenza dei crediti ceduti, sia della finalità di evasione sottesa al loro acquisto.

Un elemento di riflessione va sottolineato, relativamente alla sentenza della III Sezione penale. Ovvero il fatto che l’utilizzo di crediti inesistenti va a configurare un reato, normalmente ai sensi dell’articolo 10 quater del Dlgs 74/2000 sopra il valore che viene considerato come soglia, ovvero 50 mila euro. Quando però si acquista consapevolmente un credito inesistente, secondo i Giudici di Legittimità, il reato cambia e si passa al più grave delitto: quello di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici che ha una soglia inferiore (30mila euro di imposta evasa e 5% degli elementi attivi indicati in dichiarazione) e che è sanzionato in maniera ben più pesante (reclusione da tre a otto anni).

 

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