Plusvalenze da cessione di calciatori nelle società calcistiche: costituiscono materia imponibile a fini IRAP.

by AdminStudio

La plusvalenza derivante dalla vendita di un calciatore tra società calcistiche è da assoggetta all’Irap, secondo la Sezione Tributaria della Corte di cassazione. La sentenza 26 febbraio 2024, n. 5068 (Pres. Cirillo, Rel. Lenoci) ha respinto infatti il ricorso dell’Udinese calcio avverso una pronuncia della Ctr di Udine che aveva a sua volta respinto il ricorso sul diniego di rimborso per l’Irap corrisposta sulle “componenti positive straordinarie” dal luglio 2005 al giugno 2008.

Il ricorso della società calcistica evidenzia in sostanza due motivi. Uno incentrato sul fatto che la cessione di un calciatore, per la contribuente, non costituisce il realizzo di una cessione di beni strumentali, e neppure potrebbe essere qualificata come cessione di contratto ex art. 1406 cod. civ., in quanto le società acquirenti non subentrerebbero nei contratti già in essere con i calciatori, ma acquisirebbero unicamente il diritto ad ottenere la risoluzione dei rapporti esistenti e di stipulare nuovi contratti con gli stessi atleti, con la conseguenza che, non sussistendo il trasferimento di un “bene”, non potrebbe mai generarsi una plusvalenza rilevante ai fini della determinazione della base imponibile IRAP. La società, al contrario, realizzerebbe un provento straordinario, da evidenziare alla voce E) del conto economico ex art. 2425 cod. civ., del quale non potrebbe tenersi conto ai fini della determinazione della base imponibile IRAP, in base agli artt. 5 e 11, comma 3, del d.lgs. n. 446/1997.

In questo senso, dunque, secondo l’impostazione della ricorrente, le somme pagate alla società titolare del contratto sportivo rappresenterebbero un corrispettivo per acconsentire all’anticipata cessazione del contratto, a cui seguirebbe un nuovo contratto d’ingaggio tra il calciatore e la nuova società, che nulla avrebbe a che vedere con il precedente rapporto.

La seconda questione atterrebbe, di riflesso, al fatto che il provento dovrebbe essere attratto dalla gestione straordinaria e dunque non incidere sulla base imponibile dell’imposta regionale.

 

La Sezione tributaria con una articolata motivazione che richiama la sentenza Bosman e l’evoluzione conseguente del rapporto contrattuale tra società calcistiche e calciatori, rapporto che cessa alla fine del periodo contrattualizzato senza che la società abbia più alcun diritto. Nel caso invece di cessioni di calciatori nel corso del rapporto (e quindi prima della scadenza del contratto), viene seguita la seguente procedura di trasferimento: a) calciatore, società di provenienza e società di destinazione devono redigere per iscritto, a pena di nullità, un accordo di cessione di contratto, denominato “variazione di tesseramento per calciatori professionisti”; b) società di provenienza e società di destinazione redigono e allegano un documento in bollo, nel quale evidenziano importo e modalità del prezzo di cessione dovuto dalla secondo alla prima; c) società di destinazione e calciatore redigono, infine, un altro modulo federale, con il quale concordano la misura del compenso al calciatore, quello da questo dovuto al suo procuratore, la scadenza del rapporto contrattuale, ed altre clausole accessorie.

Trattasi, all’evidenza, di una operazione economica rientrante nello schema della cessione del contratto, in quanto la società di provenienza cede alla nuova società, con il consenso del giocatore, la propria posizione contrattuale (e, in particolare, il diritto alle prestazioni sportive dell’atleta), secondo lo schema tipico di cui all’art. 1406 cod. civ.

Con la cessione del giocatore la società cessionaria acquista, con il consenso dell’atleta ceduto, proprio il diritto oggetto del contratto, e succede in tutti gli obblighi ed i diritti connessi, fermo restando che la società acquirente potrà, in base agli accordi con l’atleta, continuare il rapporto contrattuale alle medesime condizioni, ovvero regolarlo diversamente. Questa interpretazione, peraltro, è confermata anche dal tenore letterale dell’art. 5 della l. n. 91/1981, che definisce proprio “cessione del contratto” il trasferimento di un atleta da una società ad un’altra.

Ne consegue che oggetto della cessione è il diritto all’utilizzo esclusivo della prestazione dell’atleta, che è senz’altro un bene da inquadrarsi tra i beni immateriali strumentali ammortizzabili ai sensi dell’art. 68, comma 2, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (testo unico delle imposte sui redditi), suscettibili, come tali, di produrre plusvalenze o minusvalenze, rilevanti ai fini IRES ed IRAP, ai sensi degli artt. 56 del d.P.R. n. 917/1986 e 5, comma 1, e 11, comma 3, del d.lgs. n. 446/1997.

Viene quindi affermato il seguente principio di diritto: “il trasferimento di un atleta professionista da una società sportiva ad un’altra, laddove disposto dietro corrispettivo prima della scadenza naturale del rapporto contrattuale in corso, è riconducibile allo schema della cessione del contratto, nei termini previsti dall’art. 5, comma 2, della legge n. 91/1981; esso, pertanto, dal punto di vista fiscale rappresenta un’operazione assimilabile alla cessione di un bene immateriale, suscettibile di generare una plusvalenza e, dunque, rilevante ai fini IRAP”.

Non è per la verità del tutto indagato il secondo motivo del ricorso, ovvero quello fondato sulla straordinarietà del provento. Ricordiamo però che secondo l’OIC 12 sono considerati straordinari i proventi e gli oneri che derivano da: a) eventi accidentali ed infrequenti; b) operazioni infrequenti che sono estranee all’attività ordinaria della società.

Dunque sebbene non del tutto chiarita questa circostanza nella motivazione della sentenza la conclusione (il rigetto del ricorso della società di calcio) appare in linea con la lettura data dalla Corte al primo motivo.

 

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