Modulazione delle sanzioni tributarie: il principio, costituzionalmente orientato, ribadito dalla Corte Costituzionale. Che richiede una applicazione, anche da parte degli Uffici, dell’articolo 7, comma 4, del d.lgs. n. 472 del 1997

by admintrib

La Sentenza n. 46 depositata il 17 marzo 2023 della Corte Costituzionale ha deciso per la non rilevanza della questione sollevata nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, primo periodo, e 13, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, recante «Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662», promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Bari.

L’art. 1, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 471 del 1997, nella versione successiva alle modifiche apportate dall’art. 15, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n.158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), prevede che «[n]ei casi di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, si applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’ammontare delle imposte dovute, con un minimo di euro 250».

A sua volta l’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997, dispone che «[c]hi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la sanzione di cui al primo periodo è ridotta della metà. Salva l’applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al secondo periodo è ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo».

La CTP dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 471 del 1997, sotto un primo profilo, con riferimento all’art. 3 Cost., con riguardo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza nella parte in cui prevede che, ove all’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi faccia comunque seguito, prima della ricezione dell’avviso di accertamento, il versamento spontaneo dell’imposta, la sanzione dal centoventi al duecentoquaranta per cento si applichi sull’intero ammontare «di tutte le imposte dovute sulla base della dichiarazione omessa», anziché solo sull’«importo residuo delle imposte da versare da parte del contribuente».

Dovrebbe, infatti, rimanere ben distinta l’«offensività della condotta di chi omette la presentazione della dichiarazione al fine di evadere il pagamento delle imposte» da quella di chi, pur avendo omesso la presentazione della dichiarazione dei redditi, «paga spontaneamente le imposte pur senza un previo accertamento fiscale».

Invece, la sanzione prevista dall’art. 1, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 471 del 1997 «colpisce indiscriminatamente», «senza alcun riguardo all’entità oggettiva e soggettiva della violazione commessa, sottoponendo così al medesimo trattamento condotte fra loro diverse e aventi conseguenze diverse».

In altri termini la suddetta previsione normativa ancorerebbe «la sanzione al criterio meramente formale ed estrinseco della omessa presentazione della dichiarazione fiscale, invece che a quello sostanziale dell’ostacolo all’accertamento e della evasione del pagamento dell’imposta».

Osserva, quindi, il rimettente che la condotta del contribuente che, pur non presentando la dichiarazione dei redditi, effettui i pagamenti per intero, prima della ricezione dell’avviso di accertamento, sarebbe all’evidenza meno grave di quella di chi, non soltanto ometta la presentazione della dichiarazione dei redditi ma anche il pagamento delle imposte.

Nel merito la Corte ritiene che le questioni di legittimità costituzionale sollevate sul primo periodo dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997, in riferimento all’art. 3 Cost. sotto il profilo della violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza non siano fondate, nei termini di cui in motivazione.

Con tali questioni il rimettente pone in discussione una sanzione che ritiene eccessivamente afflittiva, anche nel minimo edittale, in riferimento a un comportamento del contribuente quale quello risultante dal giudizio a quo. Di qui la richiesta di una sentenza sostitutiva, volta a commisurare la sanzione solo sull’«importo residuo delle imposte da versare da parte del contribuente», anziché sull’ammontare «di tutte le imposte dovute sulla base della dichiarazione omessa». Al riguardo, va innanzitutto premesso che un sistema di fiscalità di massa poggia sull’architrave dell’autoliquidazione delle imposte, cui deve corrispondere, nell’ambito dell’imposta sui redditi, la fedele compilazione e la tempestiva presentazione della dichiarazione, che costituisce uno degli atti più importanti nell’ambito della disciplina attuativa di tale imposta.

Tramite la dichiarazione dei redditi il contribuente è pertanto chiamato a collaborare con l’amministrazione finanziaria, esponendosi quindi ai relativi controlli. Tale dichiarazione ha, infatti, una rilevanza procedimentale: consente all’Agenzia delle entrate, innanzitutto, di attivare i controlli automatizzati e formali, di cui, rispettivamente, agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600 del 1973; condiziona poi l’accertamento e determina, in particolare, i metodi di rettifica del reddito dichiarato. In tal modo la presentazione della dichiarazione agevola le attività dell’amministrazione finanziaria, che dovrà invece ricorrere ad altri e più impegnativi strumenti nei confronti di quei contribuenti che, non assumendo tale atteggiamento collaborativo, presumibilmente sono orientati a sottrarsi totalmente al versamento delle imposte dovute. In caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, infatti, l’Agenzia delle entrate può anche procedere, ai sensi dell’art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973, all’accertamento d’ufficio, di carattere induttivo. Ma resta fermo che questa attività di accertamento implica un impegno ben superiore, in termini di risorse umane, rispetto a quello normalmente richiesto per l’effettuazione degli altri controlli, e in particolare di quelli automatizzati e formali.

Ciò precisato, tuttavia, per la Corte Costituzionale, il problema della ragionevolezza e proporzionalità della sanzione in questione, sollevato dal rimettente, non può ritenersi sic et simpliciter superato. Emblematica, al riguardo, è la fattispecie del giudizio a quo, dove si è in presenza di un contribuente che sì ha omesso di presentare la dichiarazione dei redditi relativa al regime fiscale del consolidato, ma, da un lato, ha tempestivamente presentato la propria dichiarazione, in tal modo esponendosi inequivocabilmente ai controlli dell’Agenzia delle entrate, e, dall’altro, ha comunque interamente versato, sebbene in ritardo, ma prima di aver ricevuto qualsivoglia avviso di accertamento, le imposte dovute. La circostanza che, nonostante il comportamento tenuto, tale contribuente, per effetto dell’applicazione del minimo edittale, debba versare una cifra maggiore dell’imposta già versata evidenzia, più in generale, che nella fattispecie sanzionatoria censurata può venir meno, in determinate situazioni, un rapporto di congruità tra il concreto disvalore dei fatti e la misura della sanzione.

La soluzione auspicata dal rimettente non può, tuttavia, essere accolta, prosegue la motivazione, in quanto depotenzierebbe gravemente l’effetto deterrente che deve presidiare, per quanto prima detto, la corretta presentazione della dichiarazione dei redditi. Infatti, tale soluzione porterebbe, addirittura, al risultato estremo che nessuna sanzione sarebbe irrogata ogni qualvolta il contribuente, pur avendo omesso di presentare la dichiarazione, abbia comunque effettuato, anche dopo anni dalla scadenza dei termini stabiliti, l’integrale pagamento delle imposte dovute. È invece possibile una lettura sistematica della norma censurata in correlazione con un’interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997. Tale soluzione, senza minare in radice l’effetto deterrente, è in grado di ricondurre entro i limiti della proporzionalità e della ragionevolezza la sanzione prevista dalla norma censurata in riferimento a situazioni come quella del giudizio a quo.

Occorre quindi che, come del resto da tempo auspicato dalla dottrina, il comma 4 non venga letto atomisticamente, ma in rapporto con il comma 1 dell’art.7 del d.lgs. 472/1997: il perimetro di applicazione del comma 4 viene dilatato, considerando tra le circostanze che possono determinare la riduzione fino al dimezzamento della sanzione, e in particolare la condotta dell’agente e l’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle consegne.

Importante è il passaggio della motivazione nel quale si legge:

Valorizzato in questi termini, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, che fornisce maggiore chiarezza ai criteri di determinazione delle sanzioni in esso stabiliti, “l’art. 7, comma 4, del d.lgs. n.472 del 1997 si pone come una opportuna valvola di decompressione che è atta a mitigare l’applicazione di sanzioni, come quella stabilita dalla norma censurata, che, strutturate per garantire un forte effetto deterrente al fine di evitare evasioni anche totali delle imposte, tendono a divenire draconiane quando colpiscono contribuenti che invece tale intento chiaramente non rivelano. Peraltro, la riduzione nei sensi indicati ben può essere operata già da parte dell’Agenzia delle entrate, poiché questa spesso dispone, fin dal momento della irrogazione della sanzione, degli elementi di valutazione utili al riguardo. In ogni caso ad essa potrà ricorrere il giudice nell’ambito del contenzioso, anche a prescindere da una formale istanza di parte, ogni qualvolta sia stato articolato un motivo di impugnazione sulla debenza o sull’entità delle sanzioni irrogate e risultino allegate circostanze tali da consentirlo”.

Ricordiamo, per comodità che l’articolo 7, comma 4 testualmente dispone “Qualora concorrano eccezionali circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entita’ del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa puo’ essere ridotta fino alla meta’ del minimo”.

La Sentenza risulta quindi rilevante e le sue conseguenze potrebbero essere importanti. Non tanto, riteniamo, nel comportamento dell’A.d.E. malgrado le raccomandazioni autorevolissime della Corte, quanto certamente per orientare la valutazione dei Giudici relativamente alle sanzioni irrogate.

 

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