Cancellazione della società, legittimazione processuale del socio e/o del liquidatore e diritti relativi: la questione prende la strada delle Sezioni Unite

by admintrib

L’articolo 2495 del Codice Civile, nella attuale formulazione, testualmente prevede “Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese, salvo quanto disposto dal secondo comma.

Decorsi cinque giorni dalla scadenza del termine previsto dal terzo comma dell’articolo 2492, il conservatore del registro delle imprese iscrive la cancellazione della società qualora non riceva notizia della presentazione di reclami da parte del cancelliere.

Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi [c.c. 31, 2312, 2324] . La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società.

Nella Ordinanza 14 marzo 2023 n. 7425 i Giudici della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Bruschetta, Rel. Caradonna), di fronte al problema di valutare gli esiti processuali in capo ai soci della norma appena citata rilevano che negli ultimi anni si sono andati delineando due distinti orientamenti giurisprudenziali

In particolare, alcune pronunce hanno affermato che il disposto dell’art. 2495 c.c. implica che l’obbligazione sociale non si estingue, ma si trasferisce ai soci nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, sicché grava sul creditore l’onere della prova della distribuzione dell’attivo e della riscossione di una quota di esso in base al bilancio finale di liquidazione, trattandosi di elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio (cfr. Cass., 22 giugno 2017, n. 15474).

Altre pronunce, invece, hanno sostenuto che l’accertamento della condizione di cui all’art. 2495 c.c. costituisce presupposto della assunzione, in capo al socio, della qualità di successore e, correlativamente, della legittimazione ad causam ai fini della prosecuzione del processo ai sensi dell’art. 110 c.p.c. e, come tale, in presenza di contestazione sul punto, va provata dal soggetto che si costituisce in giudizio, ovvero il soggetto che nel corso del giudizio si costituisce nella qualità di successore universale della società estinta ha l’onere di fornire, in presenza di contestazione sul punto, la prova della asserita qualità di socio (cfr. Cass., 5 novembre 2021, n. 31904; Cass., 16 novembre 2020, n. 25869; Cass. 31 gennaio 2017, n. 2444).

Viene quindi, secondo i Giudici di Legittimità, ancora una volta in evidenza come la questione giuridica oggetto di esame presenta plurime discrasie, che si muovono nel solco della riconducibilità della condizione di cui all’art. 2495 c.c. all’interesse ad agire del creditore, anche se, nel contempo, queste stesse pronunce, ne prescindono, ritenendo che il creditore abbia interesse ad agire anche in mancanza di una effettiva riscossione di somme sulla base del bilancio finale di liquidazione; a queste pronunce, poi, si affiancano altre pronunce che riconducono la condizione prevista dall’art. 2495 c.c. alla legittimazione processuale del socio succeduto ed altre ancora che giungono alla affermazione di un vero e proprio onere probatorio, che segue, tuttavia, criteri di ripartizione differenti a seconda che ci si muova nella prospettiva del creditore o del socio succeduto.

Si tratta di opzioni ermeneutiche che, tuttavia, non possono non tenere conto, in un’ottica sistematica della questione posta, di ulteriori considerazioni che sono state pure svolte nelle pronunce richiamate. E precisamente, estrapolando dalla motivazione:

-) il principio di impugnabilità degli atti tributari per vizi propri ex art. 19, comma 3, del D.Lgs. n. 546 del 19002 e il divieto di ampliamento dell’oggetto del giudizio (salvo i limitati casi dei motivi aggiunti ex art. 24, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992) che sembrano ostare alla possibilità di sollevare l’eccezione del difetto di responsabilità del socio succeduto nel corso del giudizio (Cass., 19 aprile 2018, n. 9672, in motivazione);

-) le caratteristiche formali ed amministrative dell’atto impositivo, che presuppone in ogni caso una iscrizione a ruolo nei confronti del socio, succeduto nel corso del processo, per le somme accertate nei confronti della società, e ciò sia che debba essere attivata la speciale procedura prevista dall’art. 36 del D.P.R. n. 602 del 1976, sia che venga attivato il modulo di responsabilità ex art. 2495 c.c.; (Cass., 19 aprile 2018, n. 9672, in motivazione);

-) la circostanza che il debito del quale sono chiamati a rispondere i soci della società cancellata non si configura come un debito nuovo, quasi traesse la propria origine dalla liquidazione sociale, ma si identifica con il medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica (Cass., 12 marzo 2013, n. 6070, in motivazione);

-) l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci che non è escluso dalla “possibilità” di sopravvenienze attive o anche dalla “possibile” esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio, in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti (Cass., 12 marzo 2013, n. 6070, in motivazione, e da ultimo Cass., 4 gennaio 2022, n. 2);

-) la circostanza che il creditore ha comunque un interesse anche al mero accertamento del diritto e che l’eventuale insussistenza di attivo distribuito potrebbe incidere sulla esigibilità del credito in fase esecutiva (Cass., 26 giugno 2020, n. 12758, in motivazione);

-) il fatto che il socio, a differenza, dell’erede che, in morte della persona fisica, ha accettato l’eredità intra vires, con beneficio d’inventario, non è, in quanto tale, un successore universale della società, ma lo diventa nella specifica ipotesi disciplinata dalla legge, in cui egli abbia riscosso la quota in base al bilancio finale di liquidazione e solo in tal caso può ammettersi, in senso generale e lato, che il socio succeda, seppure intra vires, nei rapporti giuridici facenti capo alla società (Cass., 16 maggio 2012, n. 7676, in motivazione);

-) l’insussistenza di un vulnus al diritto di difesa del socio, ex art. 24 Cost., tenuto comunque conto che il socio succeduto, allo stesso modo che per gli altri debiti sociali, può contestare la propria responsabilità in sede di esecuzione, in quanto può pienamente dispiegare ogni mezzo onde andare assolto dalla pretesa del fisco, addirittura lamentando l’inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo formatosi nei confronti della società, ovvero con la dimostrazione di non aver conseguito utili dalla liquidazione (Cass., 5 novembre 2021, n. 31904, in motivazione). 19. Un’ulteriore considerazione va, ancora, svolta con riferimento alla condizione dell’azione dell’interesse ad agire, che si è detto avere natura dinamica, che rifugge, in quanto tale, da considerazioni statiche allo stato degli atti (cfr. Cass., Sez. U., 12 marzo 2013, n. 6070) e, che tuttavia, anche di recente, sia pure in tema di impugnazione dell’estratto di ruolo, è stato definito come una condizione dell’azione avente natura “dinamica” che, come tale, può assumere una diversa configurazione, anche per norma sopravvenuta, ma fino al momento della decisione (Cass., Sez. U., 6 settembre 2022, n. 26283). In proposito, va ricordato che “L’accertamento dell’interesse ad agire, inteso quale esigenza di provocare l’intervento degli organi giurisdizionali per conseguire la tutela di un diritto o di una situazione giuridica, deve compiersi con riguardo all’utilità del provvedimento giudiziale richiesto rispetto alla lesione denunziata, prescindendo da ogni indagine sul merito della controversia e dal suo prevedibile esito” (Cass., Sez. U., 22 novembre 2022, n. 34388) e che “l’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire, sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 c.p.c., va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata” (Cass., 23 maggio 2008, n. 13373)”.

La Corte pertanto rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale rinvio alle Sezioni Unite.

 

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