“L’accertamento con adesione, avendo natura di concordato tra l’amministrazione ed il contribuente, ed essendo pertanto caratterizzato dal carattere volontario dell’adesione, non può che avere efficacia nei confronti del solo soggetto che tale adesione ha prestato, dovendo escludersi che possa acquisire valore, anche indiretto, nei confronti di chi abbia impugnato l’atto impositivo fondato sul valore accertato con adesione in relazione ad un diverso soggetto. A ciò consegue che l’estensione degli effetti dell’accertamento con adesione relativo ad altri coobbligati può ammettersi solo “in bonam partem” ed in assenza di una espressa volontà contraria del contribuente””.
Questo il principio di diritto ribadito con ordinanza n. 35462 del 19 dicembre 2023 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Giudicepietro, Rel. Di Marzio).
Nei fatti una S.r.l. stipulava atto di cessione di azienda registrato l’11.1.2006, indicando un valore di vendita pari ad Euro 27.000,00. L’Amministrazione finanziaria notificava quindi alla contribuente un avviso di accertamento, con il quale richiedeva maggiore Ires sulla base della plusvalenza che assumeva essere stata realizzata con la cessione dell’azienda, avendo l’acquirente stipulato accertamento con adesione, ai fini dell’imposta di registro ai termini del quale il valore della cessione era indicato in Euro 75.000,00. La S.r.l. impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli che accoglieva il ricorso ed annullava l’avviso di accertamento. La CTR confermava la decisione della CTP ritenendo tra l’altro inopponibile alla contribuente l’esito di un accertamento con adesione stipulato da diverso soggetto. Avverso detta decisione l’Ufficio proponeva ricorso per cassazione.
Come ricordato dalla Corte “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015 – che, quale norma di interpretazione autentica, ha efficacia retroattiva – esclude che l’Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini di altra imposta commisurata al valore del bene, posto che la base imponibile ai fini IRPEF è data non già dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. Il riferimento contenuto nella detta norma all’imposta di registro ed alle imposte ipotecarie e catastali svolge una funzione esemplificativa, volta esclusivamente a rimarcare la ratio della norma incentrata sulla non assimilabilità della differente base impositiva (valore) rispetto a quella prevista per l’IRPEF (corrispettivo)” (Cass. sez. V, 2.8.2017, n. 19227).
I Giudici, chiarito che l’Amministrazione finanziaria non avesse invocato altre prove, neppure presuntive, in relazione ad un valore di cessione dell’azienda diverso e maggiore di quello dichiarato dalla società, hanno dunque rigettato il ricorso. La pretesa dell’AdE di veder estendere gli effetti favorevoli di un’adesione stipulata con altro soggetto (vicenda tutt’altro che isolata, da ciò che è dato sapere, malgrado i rovesci giurisprudenziali) è quindi vanificata.