La disciplina delle società di comodo confligge, in ambito IVA, con le regole della Direttiva UE.

by AdminStudio

“L’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone.

L’articolo 167 della direttiva 2006/112 nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto”.

Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza del 7 marzo 2024 che ha deciso sulla causa C‑341/22 che ha visto protagonista una società per azioni italiana che ha censurato la normativa sulle società di comodo ed in particolare le disposizioni sulle società considerate “non operative”. Il rinvio pregiudiziale ai Giudici europei era stato effettuato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16091 del 19 maggio 2022 della quale avevamo dato conto nel nostro sito.

Si tratta in particolare dell’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 – Misure di razionalizzazione della finanza pubblica intitolato «Società di comodo. Valutazione dei titoli il quale dispone quanto segue: «1.      Agli effetti del presente articolo le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano non operativi se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le seguenti percentuali: (…) 4.      Per le società e gli enti non operativi, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non è ammessa al rimborso né può costituire oggetto di compensazione (…) o di cessione (…). Qualora per tre periodi di imposta consecutivi la società o l’ente non operativo non effettui operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non inferiore all’importo che risulta dalla applicazione delle percentuali di cui al comma 1, l’eccedenza di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell’IVA a debito relativa ai periodi di imposta successivi. 4-bis.      In presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive (…).

Dopo i gradi di merito del giudizio tributario che l’aveva vista soccombente, la società aveva proposto ricorso per cassazione. In sostanza, essa sosteneva che il rifiuto di concederle il beneficio del diritto alla detrazione dell’IVA non sia compatibile con il diritto dell’Unione.

La Suprema Corte, rinviando la questione alla Corte UE, esponeva, in sostanza, che la normativa italiana di cui trattasi mira a disincentivare la costituzione di società di comodo e, quindi, a impedire che persone giuridiche che svolgono formalmente un’attività economica, senza tuttavia essere, in realtà, operative, beneficino di vantaggi fiscali. A tal fine, l’articolo 30 della legge n. 724/1994 prevedrebbe un meccanismo deterrente che si fonderebbe sulla presunzione secondo cui il carattere non operativo di una società può essere dedotto dal fatto che gli introiti che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui essa dispone sono inferiori rispetto alla soglia di reddito determinata da detta disposizione. Una società potrebbe tuttavia confutare questa presunzione dimostrando che, a causa di situazioni oggettive, in un determinato periodo non sarebbe stato possibile raggiungere tale soglia di reddito.

Per i Giudici europei tuttavia nessuna disposizione della direttiva IVA subordina il diritto a detrazione al requisito che l’importo delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, effettuate a valle da un soggetto passivo nel corso di un determinato periodo, raggiunga una certa soglia. Al contrario, dalla giurisprudenza comunitaria risulta che il diritto alla detrazione dell’IVA è garantito, purché ricorrano le condizioni richieste, circostanza che spetterà al giudice del rinvio verificare, indipendentemente dai risultati delle attività economiche del soggetto passivo interessato.

Il diritto alla detrazione dell’IVA può essere negato al soggetto passivo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso è invocato fraudolentemente o abusivamente. Occorre infatti ricordare che la lotta contro frodi, evasione fiscale ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA e che la Corte ha dichiarato in più occasioni che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione. Pertanto, quand’anche siano soddisfatte le condizioni sostanziali del diritto a detrazione, le autorità e i giudici nazionali devono negare il beneficio di tale diritto se è dimostrato, sulla base di elementi obiettivi, che detto diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo [v., in tal senso, sentenze del 3 marzo 2005, Fini H, C 32/03, EU:C:2005:128, punti 34 e 35, nonché del 25 maggio 2023, Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Warszawie (IVA – Acquisto simulato), C 114/22, EU:C:2023:430, punto 41 e giurisprudenza ivi citata].

Ma viene sottolineato che il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, incombe alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una tale evasione. Spetta poi ai giudici nazionali verificare se le amministrazioni finanziarie interessate abbiano dimostrato l’esistenza di detti elementi oggettivi [sentenza del 25 maggio 2023, Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Warszawie (IVA – Acquisto simulato), C 114/22, EU:C:2023:430, punto 43 e giurisprudenza ivi citata].

Per quanto riguarda l’abuso di diritto, da una giurisprudenza costante risulta che l’accertamento di un comportamento abusivo in materia di IVA richiede, da un lato, che le operazioni di cui trattasi, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della direttiva IVA e della normativa nazionale di recepimento, debbano avere come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da tali disposizioni. Dall’altro, deve risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo scopo essenziale di tali operazioni si limita all’ottenimento di tale vantaggio fiscale [sentenze del 21 febbraio 2006, Halifax e a., C 255/02, EU:C:2006:121, punti 74 e 75, nonché del 25 maggio 2023, Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Warszawie, (IVA – Acquisto simulato), C 114/22, EU:C:2023:430, punto 44 e giurisprudenza ivi citata].

Le conclusioni sono pertanto quelle esposte in apertura del commento. Ovvero Il beneficio del diritto a detrazione può essere negato solo qualora i fatti invocati per dimostrare una siffatta evasione o un siffatto abuso siano stati sufficientemente dimostrati con elementi diversi da supposizioni (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C‑281/20, EU:C:2021:910, punto 52 e giurisprudenza ivi citata). La Corte ha già dichiarato che una presunzione generale di evasione e di abuso non può giustificare un provvedimento fiscale che pregiudichi gli obiettivi di una direttiva (v., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka, C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 31 e giurisprudenza ivi citata). Allo stesso modo, non si può ammettere che una siffatta presunzione, benché confutabile, conduca a negare il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte per motivi estranei alla constatazione di un’invocazione fraudolenta o abusiva di tale diritto. Ne consegue che una presunzione come quella del diritto italiano eccede quanto necessario per conseguire l’obiettivo di prevenire le evasioni e gli abusi.

 

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