“Non resta che prendere atto della portata retroattiva della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, ritenendo applicabile l’art. 20 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nel testo novellato dall’art. 1, comma 87, della legge 27 dicembre 2017 n. 205, anche agli atti stipulati in epoca antecedente alla sua entrata in vigore per i quali i processi dinanzi ai giudici tributari siano ancora pendenti; risulta, quindi, ab imis, destituita di fondamento la pretesa dell’amministrazione di riqualificare gli atti presentati alla registrazione in relazione alla complessiva operazione economica perseguita dalle parti e, quindi, avuto riguardo al collegamento funzionale che, ai fini di detto risultato (riqualificato in termini di cessione di azienda), è stato individuato negli atti impositivi”.
Questo il principio di diritto ribadito con ordinanza n. 27212 del 25 settembre 2023 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. De Masi, Rel. Candia).
Nei fatti una società costituiva una nuova s.r.l. conferendole poi, in seno ad un’operazione di aumento di capitale sociale, un ramo di azienda; successivamente la prima cedeva l’intera partecipazione detenuta nella seconda ad un’altra s.r.l. Con avviso di liquidazione l’Agenzia delle Entrate riqualificava ai sensi dell’art. 20 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 i predetti atti come cessione di azienda, liquidando l’imposta di registro in complessivi 182.580,00 €. La società contribuente, vistasi disattendere le proprie doglianze nei primi due gradi del giudizio, ricorreva in cassazione lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 20 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
La Corte nel formulare il proprio giudizio ha inteso ribadire, ripercorrendone le fasi salienti, il nuovo contesto normativo e giurisprudenziale (sopravvenuto alla sentenza impugnata) in merito alla corretta interpretazione dell’art. 20 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
Come ricordato dai Giudici il precedente orientamento della Corte formatosi in relazione al testo originario dell’art. 20 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 “era nel senso di considerare la norma come prescrittiva di una regola interpretativa e non antielusiva, potendo l’Amministrazione finanziaria procedere alla riqualificazione del negozio senza necessità di un previo contraddittorio endoprocedimentale, dovendo attribuirsi rilievo preminente alla causa reale e concreta e cioè alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche mediante una pluralità di pattuizioni, non contestuali, tra loro collegate”.
La legge 27 dicembre 2017, n. 205, che all’art. 1, comma 87, ha però riformulato la versione dell’art. 20 cit., stabilendo che «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi».
In una prima fase la Corte aveva attribuito a detta norma natura innovativa e, pertanto, non retroattiva (cfr. Cass., 9 gennaio 2019, n. 362; Cass., 28 febbraio 2018, n. 4589; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4407; Cass., 26 gennaio 2018, n. 2007), ma, con la legge 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma. 1084, il legislatore intervenendo nuovamente sul tema ha precisato precisando che «La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1».
Come segnalato dai Giudici, con duplice arresto, la Corte Costituzionale ha disatteso le differenti questioni di costituzionalità sollevate dalla Corte (Cass., 23 settembre 2019, n. 23549) e dalla CTP di Bologna (ordinanza di rimessione del 13 novembre 2019) confermando la portata di interpretazione autentica, e dunque retroattiva, dei menzionati interventi normativi.
Nello specifico, infatti, la Corte costituzionale con la pronuncia 21 luglio 2020, n. 158 ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20 d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, nel testo come modificato (dall’art. 1, comma 87, lettera a) della legge 27 dicembre 2017, n. 205 e dall’art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, sul rilievo secondo il quale “tutti i comuni criteri ermeneutici convergono univocamente nel far ritenere la disposizione oggetto delle questioni come intesa ad imporre che, nell’interpretare l’atto presentato a registrazione, si debba prescindere dagli elementi «extratestuali e dagli atti ad esso collegati», salvo quanto disposto dagli articoli successivi del medesimo d.P.R. n. 131 del 1986”, ponendo in evidenza che “il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extra testuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico”.
Successivamente la stessa Corte costituzionale, con la sentenza 16 marzo 2021 n. 39, ha dichiarato inammissibili (ex artt. 24, 81, 97, 101, 102 e 108 Cost.) ed infondati (ex art. 3 Cost.), gli ulteriori dubbi di legittimità costituzionale sulla retroattività «per interpretazione autentica» della nuova disciplina. In tale occasione la Consulta ha osservato che “non è irragionevole attribuire efficacia retroattiva ad un intervento che abbia carattere di sistema, avendo il legislatore fissato uno dei contenuti normativi riconducibili all’intero «impianto sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell’imposta di registro», storicamente qualificata come “imposta d’atto”, in termini non superati dal legislatore, segnalando ancora che l’intervento legislativo si poneva su un piano di rispettata coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico”, aggiungendo a quanto rappresentato con la precedente pronuncia ed in relazione allo specifico aspetto della retroattività che “nella giurisprudenza sovranazionale si riconosce che le norme della CEDU sono volte a tutelare i diritti della persona «contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione» e non viceversa”.
I Giudici hanno quindi accolto il ricorso della società contribuente rilevando come l’amministrazione finanziaria avesse riqualificato l’atto attribuendo rilievo a vicende economiche ad esso sottese e ad elementi esterni rispetto all’atto registrato.