Il regime della PEX va applicato anche alle società non residenti alle stesse condizioni di quelle interne

by AdminStudio

La Pex al 95% per i soggetti residenti spetta necessariamente anche ai non residenti. In caso contrario si determinerebbe una discriminazione per questi ultimi che non è superata dal meccanismo del credito d’imposta estero.

Lo afferma la Sentenza n. 27267 del 25 settembre 2023 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Presidente Cirillo, Relatore Angarano) che conferma l’esito dei due giudizi di merito pro contribuente, respingendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

Il ricorso riguardava una sentenza di appello, con cui la C.t.r. della Lombardia aveva rigettato l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza della C.t.p. di Milano che, invece, aveva accolto il ricorso della contribuente avverso il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso avente ad oggetto l’eccedenza Ires, per Euro 600.497,83 versata da una società non residente sulla plusvalenza derivante dalla cessione della partecipazione in una società italiana

La contribuente, società nel caso specifico di diritto francese, cedeva la partecipazione, pari al 24,5 per cento della italiana per un controvalore di Euro 5.444.388,00, conseguendo una plusvalenza di Euro 4.884.158,00, dichiarata nel modello Unico e assoggettata a tassazione Ires del 27,5 per cento sulla parte imponibile applicata ai soggetti non residenti (pari al 49,72 per cento e quindi ad Euro 2.428.403,00) con versamento di Euro 667.655,00.

Tuttavia, assumendo che, nella medesima situazione, una società residente sarebbe stata assoggettata ad una tassazione più favorevole, computandosi come base imponibile il solo 5 per cento della plusvalenza (invece che il 49,72 per cento), riteneva sussistenti le condizioni per l’applicazione della c.d. partecipation exemption (pex) di cui all’art. 87 t.u.i.r. Pertanto, chiedeva il rimborso della differenza Ires versata, quantificata in Euro 600.497,83.

La C.t.p. accoglieva il ricorso, così motivando: “La società ricorrente, oltre ad aver dimostrato di possedere i requisiti di cui all’art. 87 TUIR per potere beneficiare della Pex, può certamente essere destinataria dell’applicazione del principio di portata generale affermato dalla Corte di Giustizia Europea nella causa C-540/07 in base al quale non è consentito trattare differentemente ai fini fiscali una società nazionale (italiana) rispetto ad una comunitaria (francese), costituendo, nei caso, una violazione dei Trattato Europeo. Nello specifico, appare dunque ingiustificata la disparità di tassazione che, in presenza di analogo presupposto impositivo (la cessione di plusvalenze di quote partecipative in società italiane) subiscono soggetti residenti (tassati sul 5%) e soggetti non residenti (nel caso nostro francese) tassati sul 49,72%”.

La C.t.r. confermava la sentenza ribadendo che “La ratio della PEX deriva dalla chiara volontà di consentire i riassetti delle partecipazioni di gruppi societari e holding che sono così liberi di gestire i propri portafogli senza generare carichi fiscali che ne ingesserebbero la gestione, fino a quando le plusvalenze non “trasmutano” in dividendo e sono assoggettate a tassazione in capo all’azionista. La PEX risponde quindi all’esigenza di evitare anche la doppia imposizione, che può determinarsi quando una società pagasse l’imposta al momento della produzione del reddito da cessione e il socio della stessa pagasse a sua volta l’imposta sugli utili (ciò spiega perchè il precedente regime superasse la doppia imposizione riconoscendo un credito di imposta al secondo soggetto). Alla luce di quanto detto, il giudice di prime cure appare aver fatto corretta applicazione della norma, riconoscendo il rimborso al contribuente contro il diniego dell’Ufficio, ciò indipendentemente dalla stabile organizzazione della società. La società partecipata beneficia del regime, infatti, purchè residente fiscalmente in uno Stato o territorio di cui al DM emanato ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 168-bis), con il quale devono essere individuati gli Stati membri e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni e nei quali il livello di tassazione non è sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia (C.d. “white list”)”.

Per la Corte La ratio della disciplina della esenzione della plusvalenza in regime pex di cui all’art. 87 t.u.i.r. (Cass. 8/05/2019, n. 12138) origina dalla finalità con cui si è provveduto alla modifica della disciplina delle imposte dirette nel 2004. Infatti, la riforma fiscale di cui alla Legge Delega n. 80 del 2003 è caratterizzata da un nuovo assetto dei rapporti tra fiscalità delle società e fiscalità dei soci che si basa sul criterio di tassazione del reddito al momento della “produzione” e non all’atto della sua “distribuzione”. Pertanto, la disciplina della cessione delle partecipazioni è stata assimilata a quella dei dividendi societari, anche se a differenza dei primi, per i quali il beneficio è generalizzato, per le plusvalenze il beneficio (riconoscimento della pex. nella misura del 95 per cento) vale solo per le imprese “meritevoli”, in presenza delle condizioni di cui all’art. 87 t.u.i.r. Si è sottolineato, quindi, che è stata prevista l’irrilevanza reddituale dei dividendi distribuiti e l’esenzione delle plusvalenze realizzate in occasione della cessione delle partecipazioni, pur se in presenza di determinati e specifici requisiti. In tal modo sono parzialmente esclusi i dividendi distribuiti ai soci (nella misura del 95 per cento), così come sono considerate esenti le plusvalenze da cessioni di partecipazioni (nella misura del 95 per cento), con indeducibilità delle minusvalenze e dei relativi costi. Dalla relazione illustrativa al disegno di legge delega emerge che le finalità perseguite erano quelle di armonizzare il nostro sistema fiscale con quello degli altri Paesi membri dell’Unione Europea, eliminando lo svantaggio competitivo delle imprese residenti, ed anche quello di incentivare i trasferimenti di complessi aziendali con la cessione delle partecipazioni societarie, in alternativa alla cessione diretta, quest’ultima scoraggiata con l’abrogazione dell’imposta sostitutiva del 19 per cento. La presenza di tale ulteriore finalità non elide ovviamente la prima. La riforma, quindi, muove dall’intento di tassare il reddito esclusivamente presso il soggetto che lo ha realmente prodotto, con l’esclusione da imposizione dei dividendi, se non in minima percentuale, spostando il baricentro del prelievo dal socio all’impresa (dividendi) e dalla cedente alla partecipata ceduta, considerando fiscalmente neutre tutte le manifestazioni reddituali successive alla produzione di tali redditi (Cass. 8/05/2019, n. 12138) La stessa Agenzia delle entrate (circolare 4 agosto 2004 n. 36) ha ritenuto che “il regime di esenzione delle plusvalenze e la parziale esclusione da imposizione dei dividendi rappresentano due aspetti della riforma del sistema fiscale, tra loro funzionalmente connessi. La detassazione delle plusvalenze da realizzo di partecipazioni costituisce il logico corollario del nuovo regime di tassazione dei dividendi, che sono parzialmente esclusi da imposizione, siano essi di fonte nazionale ovvero estera (con l’eccezione degli utili derivanti da società residenti nei cd. paradisi fiscali). Nella logica della riforma, che prevede la tassazione del reddito esclusivamente presso il soggetto che lo ha realmente prodotto, l’esclusione da imposizione dei dividendi è, quindi, naturalmente accompagnata dall’irrilevanza fiscale dei componenti reddituali positivi e negativi connessi alla cessione della partecipazione stessa. I nuovi regimi di tassazione dei dividendi e delle plusvalenze danno attuazione al principio, desumibile dalla relazione al disegno di legge delega, secondo cui (…) la determinazione del prelievo va baricentrata sulla situazione oggettiva dell’impresa e non su quella soggettiva del socio. Sia il dividendo che la plusvalenza originano, infatti, da redditi che tendenzialmente devono essere tassati in capo al soggetto che li ha prodotti (società partecipata) considerando fiscalmente neutre, attraverso la previsione dell’esenzione, tutte le manifestazioni reddituali successive alla produzione di tali redditi. L’assunto da cui muove l’istituto della esclusione da imposizione dei dividendi e la corrispondente esenzione delle plusvalenze si riconnette ai criteri economici di formazione delle plusvalenze e, in particolare, alla circostanza che il plusvalore realizzato in occasione della cessione di una partecipazione è costituito da utili già conseguiti o conseguibili in futuro dalla partecipata, i quali hanno già scontato o sconteranno in via definitiva le imposte presso il soggetto che li ha prodotti”.

Pertanto, deve ritenersi che la ratio della disciplina che prevede l’esclusione da imposizione dei dividendi e quella della disciplina che prevede l’esenzione delle plusvalenze siano le medesime, e cioè la necessita di evitare una doppia imposizione economica del medesimo flusso reddituale.

La Corte di giustizia con la decisione 19/11/2009, C540/07 ha evidenziato che l’art. 58 (oggi 65) T.F.U.E. giustifichi la presenza di disposizioni tributarie che operino una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto concerne il luogo di residenza (par. 1) e che le disposizioni in tema di libertà di circolazione dei capitali non pregiudicano l’applicabilità di restrizioni in materia di diritto di stabilimento compatibili con i trattati (par. 2), purchè le misure e le procedure non costituiscano un “mezzo di discriminazione arbitraria nè una restrizione dissimulata dal libero movimento dei capitali” (par. 3), in sintesi dovendo escludersi una situazione di discriminazione ove il diverso trattamento sia accordato a situazioni non omologhe avendo riguardo all’obiettivo della norma controversa.

In astratto, la Corte nella citata sentenza ha già dichiarato che, riguardo ai provvedimenti adottati da uno Stato, che, a partire dal momento in cui uno Stato membro, in modo unilaterale o per via di accordi, assoggetta all’imposta sui redditi non soltanto gli azionisti residenti, ma anche gli azionisti non residenti, per i dividendi che essi percepiscono da una società residente, la situazione di tali azionisti non residenti si avvicina a quella degli azionisti residenti e che l’esercizio da parte di questo stesso Stato della sua competenza tributaria genera in quanto tale, indipendentemente da ogni imposizione in un altro Stato membro, un rischio di imposizione a catena o di doppia imposizione economica. In un caso siffatto, affinchè le società beneficiarie non residenti non si trovino di fronte ad una limitazione della libera circolazione dei capitali vietata, in via di principio, dall’art. 56 CE, lo Stato di residenza della società distributrice deve vigilare affinchè, in relazione alla procedura prevista dal suo diritto nazionale allo scopo di prevenire o attenuare l’imposizione a catena o la doppia imposizione economica, le società azioniste non residenti siano assoggettate ad un trattamento equivalente a quello di cui beneficiano le società azioniste residenti.

 

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