L’ordinanza interlocutoria n. 36447 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione del 29 dicembre 2023 (Pres. Cataldi, Rel. Macagno) tratta di un caso assai particolare relativamente al quale la Corte rinvia la trattazione ad una successiva pubblica udienza.
La vicenda riguarda l’impugnazione da parte di una società di capitali del diniego, da parte dell’Ufficio, della restituzione di somme corrisposte in via di definizione agevolata e sancite come non dovute da statuizioni passate in giudicato all’esito di contenziosi tributari proseguiti (anche ad impulso della difesa erariale) per l’accertamento del merito della pretesa impositiva.
I motivi del ricorso per cassazione della società si reggono sul medesimo presupposto secondo cui nessuna delle norme che disciplinano la “rottamazione” di cui alla L. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, commi da 618 a 623 prevederebbe effetti sul giudizio di merito, come l’estinzione del processo o l’obbligo di rinunzia, ovvero, sotto altro versante, l’esplicita irripetibilità delle somme versate.
A tale riguardo, la Corte ricorda come sia principio generale, anche di ordine pubblico, che, in tema di condono fiscale, indipendentemente dalla diversità delle regole giuridiche dettate da ciascuna legge in ordine alle modalità di accesso, alle condizioni ed agli effetti dei benefici premiali, trovi applicazione un principio comune, in virtù del quale, mentre non è vietata in assoluto la compensazione tra il dare e l’avere del Fisco e del contribuente, in riferimento agli anni d’imposta oggetto di definizione agevolata, non è in nessun caso consentita, relativamente ai medesimi anni, la restituzione delle somme versate dal contribuente: l’intervenuta formazione di un nuovo titolo giuridico, a partire da un quadro normativo generale ed astratto, ma con l’adesione volontaria del contribuente ed il controllo del possesso dei requisiti da parte dell’Amministrazione, costituisce infatti un mezzo idoneo a definire le opposte pretese, azzerando le richieste di rimborso del contribuente così come le ulteriori pretese del Fisco, proprio in conseguenza del fatto che il primo in parte versa, ed in parte si obbliga a corrispondere quelle somme di denaro che il secondo esige, in base a parametri legislativi predeterminati, applicati in concreto agli accertamenti precedentemente eseguiti dal Fisco e ritenuti convenienti dal contribuente in base ad un suo insindacabile apprezzamento (Cass. n. 20741 del 25/09/2006; n. 20650 del 14/10/2015; n. 4566 del 06/03/2015).
Dunque salvo previsioni normative eccezionali, da interpretarsi restrittivamente, il condono, in quanto incide in via definitiva sui debiti tributari dei contribuenti non può dare luogo a restituzione alcuna degli importi in precedenza corrisposti sebbene eccedenti rispetto a quanto dovuto per il perfezionamento della definizione stessa (cfr. Cass., Sez. U. 05/06/2008, n. 14828; Cass., 13/04/2012 n. 584; Cass., 17/07/2014, n. 16339; Cass., Sez. U., 27/01/2016, n. 1518).
Tali effetti trovano la causa nella natura stessa del condono, istituto che risponde al fine di recuperare risorse finanziarie e di ridurre il contenzioso, senza sottendere finalità di accertamento tributario ed esaurendo i suoi effetti con il raggiungimento di tali obiettivi. Ed invero, sebbene, a stretto rigore, non si tratti di un c.d. regime fiscale sostitutivo, perché opera “a posteriori” e non “a priori”, nè di una transazione (pure talvolta ritenuta in giurisprudenza, vedi Cass., Sez. U., n. 14828 del 05/06/2008; Cass. n. 11427 del 03/06/2015) o di una novazione perché, in entrambe le ipotesi, manca l’origine bilaterale volontaria tipica dei contratti, il condono fiscale costituisce la forma procedimentale atipica di definizione del rapporto tributario, che prescinde da una analisi della varie componenti ed esaurisce il rapporto stesso mediante definizione forfettaria ed immediata, nella prospettiva – che come già detto ne costituisce la ratio – di recuperare risorse finanziarie e di ridurre il contenzioso, e non invece in quella dell’esatto accertamento dell’imponibile. Il condono, dunque, non ha, e non può avere, effetti che vadano oltre il proprio ambito: esso comporta l’effetto di elidere in tutto o in parte il debito fiscale, senza precludere l’accertamento su altre imposte. (…)” (cfr. Cass., 27/10/2015, n. 20650; conf. Cass. n. 7661 del 02/04/2020).
5.6. Per quanto attiene al profilo della revocabilità del consenso alla definizione agevolata delle controversie tributarie, va inoltre richiamato il principio in base al quale il contribuente non può chiedere il rimborso delle somme corrisposte, perché in tal modo si verificherebbe un’inammissibile revoca della richiesta di definizione agevolata per una causa sopravvenuta non espressamente prevista dalla legge; altrimenti, verrebbe svilita la stessa “ratio” dell’istituto, rendendo peraltro privo di una reale giustificazione il vantaggio che il legislatore tributario ha scelto di assicurare al contribuente che decide di beneficiare dell’istituto premiale (Cass. n. 27067 del 2017, Cass. n. 11735 del 2011 e, di recente, Cass. n. 25945 del 2023).
Fatti salvi i principi ora richiamati, viene tuttavia rilevato che le sentenze della CTP di Roma che hanno accolto i ricorsi della contribuente, sono passate in giudicato in data successiva a quella della definizione agevolata. Dunque secondo i Giudici di Legittimità la fattispecie in esame presenta pertanto una evidente peculiarità, ponendosi la questione del rapporto, ai fini del preteso rimborso, tra perfezionamento della definizione agevolata ai sensi della L. n. 147 del 2013 (art. 1, comma 618-623) e successivo giudicato favorevole al contribuente, peculiarità che ne rende opportuna la trattazione in pubblica udienza.
La questione dovrebbe essere meglio conosciuta per poterla approfondire. Tuttavia ogni tanto va ricordato che la materia tributaria è costituzionalmente regolata dalla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. e che, ad onta di “principi generali anche di ordine pubblico” è la Legge a dover prevalere. Nel caso specifico se la stessa Sezione Tributaria nulla esprime, se non il predetto principio generale, in relazione ad una eventuale preclusione normativa del rimborso, la conclusione dovrebbe essere meno difficile di quanto possa apparire.