La Cassazione conferma la lettura dell’articolo 20 del testo unico di regisro: la cessione plurima di quote che interessa complessivamente l’intero capitale non configura una cessione di azienda.

by AdminStudio

Nella sentenza n. 34941 del 13 dicembre 2023 la Sezione Tributaria della Cassazione (Pres. Sorrentino, Rel. Picardi) torna sulla lettura dell’articolo 20 del DPR 131/86 rilevando sostanzialmente che ai fini dell’imposta di registro, sono irrilevanti gli atti negoziali posti in essere, anche dalle stesse parti ed anche se stipulati contestualmente o confluiti nello stesso documento, al fine di ricercare la causa concreta della complessiva operazione. Dunque anche nel caso di cessioni di quote plurime con diversi contratti ciascuno oggetto di registrazione, esse vanno tenute distinte sebbene contestuali e confluite nello stesso documento, in quanto ciò non configura una complessiva cessione di azienda.

La Corte ricorda come una disposizione inserita nel contesto della disciplina di una imposta d’atto abbia assunto per via giurisprudenziale, negli ultimi quindici anni, una portata più ampia, dandosi rilievo, ai fini della determinazione dell’imposta applicabile, all’intera operazione economica realizzata mediante il collegamento dell’atto sottoposto a registrazione con elementi extratestuali.

In un primo momento, la prevalente giurisprudenza di legittimità faceva riferimento alla portata essenzialmente antielusiva della disposizione in esame, a cui veniva attribuita una funzione analoga a quella dell’oggi abrogato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis (così Cass., Sez. 5, 4 maggio 2007, n. 10273). Questa impostazione venne successivamente abbandonata, sicché l’art. 20 T.U.R. non veniva più ritenuto espressione di una clausola antielusiva, anche se la norma poteva consentire, comunque, di oltrepassare il nomen iuris e gli effetti negoziali dell’atto sottoposto a registrazione, per ricostruire la “causa reale” dell’intera operazione economica realizzata.

Pertanto, l’art. 20 T.U.R. non era solo “una norma interpretativa degli atti registrati”, ma una “disposizione intesa ad identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario” (Cass., Sez. 5, 11 dicembre 2015, n. 25001), che imponeva di dare rilevanza principale nell’imposizione di un negozio giuridico, alla causa reale e alla regolazione degli interessi realmente perseguita dalle parti anche se attraverso ulteriori accordi extratestuali, prescindendo, però, da intenti elusivi che potevano eventualmente ricorrere (Cass., Sez. 5, 28 agosto 2013, n. 19752). Quindi l’art. 20 T.U.R. aveva natura di regola interpretativa e non di norma antielusiva, sicchè l’Amministrazione poteva procedere alla riqualificazione del negozio senza necessità di un previo contraddittorio endoprocedimentale (Cass., Sez. 5, 9 aprile 2018, n. 8619).

Sulla base di questo indirizzo veniva sottoposto ad imposizione non già l’atto in sè, ma l’intera operazione economica che l’atto intendeva realizzare, operazione che veniva individuata anche mediante il collegamento negoziale con elementi extratestuali alla luce dell’obiettivo economico concretamente perseguito e delle intenzioni delle parti. Si riteneva, infatti, che: “In tema di imposta di registro, del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (nella formulazione anteriore alla L. n. 205 del 2017) deve essere inteso nel senso che, nell’attività di qualificazione degli atti negoziali, l’Ufficio è tenuto ad attribuire rilievo preminente alla causa reale del negozio, ovvero alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali tra loro collegate – così Cass., Sez. 5, 30 maggio 2018, n. 13610.

Il legislatore è, poi, intervenuto con la L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87 (la c.d. legge di bilancio 2018), disposizione che ha apportato significative modifiche del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 53 bis (T.U.R.), rubricati rispettivamente “interpretazione degli atti” e “attribuzioni e poteri degli Uffici”, espressamente vietando di utilizzare elementi estranei all’atto ai fini dell’interpretazione di quest’ultimo. La conseguenza dell’intervento legislativo ha determinato l’impossibilità di utilizzare, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, l’art. 20 T.U.R. quale parametro per risolvere le eventuali discrepanze tra effetti negoziali ed gli effetti sostanziali dell’atto da registrare.

L’art. 20 T.U.R., infatti, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge bilancio 2018, attualmente recita: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra-testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

La Corte di cassazione, con indirizzo ampiamente condiviso, ha negato la natura interpretativa delle modifiche introdotte (ex plurimis v. Cass., Sez. 5, 23 febbraio 2018, n. 4407) dalla legge di Bilancio 2018, sia perchè non vi sarebbe stata una esplicita previsione dell’efficacia retroattiva all’interno della norma stessa, sia in ragione della mancanza di “adeguati motivi di interesse generale” per giustificare la retroattività della disposizione.

Il legislatore, quindi, è intervenuto per superare le difficoltà interpretative della giurisprudenza in ordine alla retroattività della novità legislativa, affermando la natura di interpretazione autentica delle modifiche normative introdotte nel 2017 ed, in particolare, precisando che: “la L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del Testo Unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1”.

A seguito dell’intervento legislativo, la Suprema Corte, con ordinanza n. 23549 del 2019, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione della legittimità costituzionale dell’art. 20 del T.U.R., ritenendo che tale norma, come modificata dalle leggi di Bilancio 2018 e 2019, contrastasse con agli art. 53 e 3 Cost..

La Corte costituzionale, con sentenza n. 158 del 2020, ha escluso i denunciati rilievi di incostituzionalità della L. n. 145 del 2018.

La Consulta ha rilevato che l’art. 20 T.U.R., nell’attuale formulazione, dispone che, nell’applicare l’imposta di registro secondo l’intrinseca natura e secondo gli effetti giuridici dell’atto da registrare, indipendentemente dal titolo o dalla forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso (intesi quali effetti giuridici del negozio veicolato in un documento) prescindendo da quelli “extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

La Corte, infatti, ha affermato che “il senso fatto palese dal significato proprio delle parole della disposizione denunciata (secondo la loro connessione), i correlativi lavori preparatori (in particolare la relazione illustrativa alla L. n. 25 del 2017, art. 1, comma 87) e tutti i comuni criteri ermeneutici (in particolare quello sistematico) convergono unicamente nel far ritenere la disposizione oggetto delle questioni come intesa a imporre che, nell’interpretare l’atto presentato a registrazione, si debba prescindere dagli elementi “extratestuali e dagli atti ad esso collegati”, salvo quanto disposto dagli articoli successivi del medesimo D.P.R. n. 131 del 1986″ (Corte Cost. n. 158 del 2020). Il giudice delle leggi ha pure precisato che la Corte di Cassazione, nell’ordinanza di rimessione, esclude essa stessa “decisamente (indicando a sostegno “l’indirizzo più recente” della giurisprudenza di legittimità) che del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, abbia una specifica funzione antielusiva”.

In conclusione, secondo la Consulta, “la disciplina censurata non si pone in contrasto nè con il principio di capacità contributiva, nè con quelli di ragionevolezza ed eguaglianza tributaria”, posto che, contrariamente all’interpretazione proposta dalla Corte di cassazione, che non è costituzionalmente necessitata (interpretazione secondo cui i fatti espressivi della capacità contributiva, a fondamento dell’imposta di registro, sono gli effetti giuridici desumibili, anche aliunde, dalla causa concreta del negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione), il legislatore, riferendo la tassazione all’isolato atto portato a registrazione, ha inteso individuare, quale presupposto impositivo dell’imposta di registro, nell’ambito della sua discrezionalità, esercitata entro i limiti della coerenza e ragionevolezza, esclusivamente gli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, in modo conforme alla origine storica dell’imposta di registro (quale imposta d’atto), oltre che coerente a quello della tipizzazione, secondo le regole del testo unico e in ragione degli effetti giuridici dei singoli atti distintamente individuati dal legislatore nelle relative voci di tariffa ad esso allegata. La Consulta ha, infine, osservato che l’interpretazione evolutiva seguita dalla Corte di cassazione, incentrata sulla nozione di “causa reale”, provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, consentendo all’Amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di “indebiti” vantaggi fiscali e di operazioni “prive di sostanza economica”, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea).

Queste conclusioni sono state ribadite dalla medesima Corte costituzionale con la successiva sentenza n. 39 del 2021.

I principi in esame sono stati condivisi, infine, anche dall’Agenzia delle entrate nella recente risposta all’interpello n. 371 del 17.9.2020, riguardo a fattispecie relativa all’applicazione dell’art. 20 T.U.R. in ipotesi di conferimento di ramo d’azienda seguito da cessione della partecipazione. L’Ufficio ha chiarito che la ratio sottostante alla modifica normativa introdotta dalla L. n. 205 del 2017, è quella “di circoscrivere l’ambito applicativo della stessa al contenuto del singolo atto sottoposto a registrazione, evitando così che elementi non espressi e/o desumibili anche da atti diversi possano essere presi in considerazione al fine di individuare il trattamento fiscale corretto”.

Relativamente al caso specifico (cessione di quote societarie), sulla base dei rilievi espressi, devono essere condivise le conclusioni a cui è giunta la Commissione Tributaria Regionale, essendo chiara la statuizione dell’art. 20 T.U.R., come recentemente interpretata dalla Consulta, secondo cui l’imposta di registro va applicata in relazione all’intrinseca natura ed agli effetti giuridici dell’atto da registrare, indipendentemente dal titolo o dalla forma apparente, prendendo in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso (intesi quali effetti giuridici del negozio veicolato in un documento) prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati. Non può, pertanto, attribuirsi rilevanza – come pretende di fare l’Agenzia delle Entrate – ad altri atti posti in essere, anche dalle stesse parti ed anche se stipulati contestualmente o confluiti nello stesso documento, al fine di ricercare la causa concreta della complessiva operazione, colpendo l’imposta di registro la manifestazione di ricchezza espressa nello specifico atto. Un eventuale collegamento negoziale con altri atti, così come gli eventuali elementi extratestuali, possono assumere rilievo solo ed esclusivamente ai sensi dell’art. 10-bis dello Statuto del contribuente, con le relative garanzie procedurali e previa dimostrazione dei relativi presupposti applicativi – possibilità che consente di superare anche i dubbi di compatibilità dell’attuale formulazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, con la normativa comunitaria.

Ne deriva che, nel caso di specie, le plurime cessioni di quote societarie, poste in essere dai tre soci, integrando tre diversi contratti, ciascuno oggetto di registrazione, vanno tenute distinte ai fini del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, sebbene stipulate contestualmente e confluite nello stesso documento, in quanto ognuna di esse resta un elemento extra-testuale/atto collegato rispetto alle altre, per cui i motivi formulati risultano infondati. Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate deve essere pertanto rigettato.

 

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