Corte Costituzionale: legittimi i limiti alla impugnabilità degli estratti di ruolo anche se ciò incide “sull’ampiezza della tutela giurisdizionale” (!?)

by AdminStudio

Diciamo la verità. Il ruolo della Corte Costituzionale in ambito tributario, a parte i casi di macroscopiche storture come la vicenda IMU coniugi, nei quali la evidenza della questione risulta palese, è da anni quello della tutela del gettito più che quello di garanzia dei Principi.

Talvolta in questa funzione politica surrettizia si vedono decisioni particolarmente distanti da ogni criterio giuridico, come nel caso della “Robin Tax” di qualche anno fa, di cui ancora gli esperti della materia conservano una opinione non certo positiva.

Ebbene, la sentenza n. 190 del 17 ottobre 2023, rischia davvero di proseguire su questo filone non particolarmente denso di pregio giuridico. In sostanza la Corte Costituzionale dichiara che, consentendo di impugnare direttamente la cartella che si assume invalidamente notificata (di cui si sia venuti a conoscenza tramite la consultazione dell’estratto di ruolo) solo per alcune fattispecie attinenti a rapporti con la PA, il legislatore, pur nell’intenzione di limitare una grave proliferazione di ricorsi spesso strumentali, ha però inciso sull’ampiezza della tutela giurisdizionale.

La conseguenza logica parrebbe la dichiarazione di incostituzionalità della norma per violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito. Invece la Consulta passa da tale constatazione ad un atteggiamento di auspicio e speranza, che non dovrebbe rientrare tra le proprie prerogative: ovvero, con riguardo all’indefettibile esigenza di superare “la grave vulnerabilità e inefficienza, anche con riferimento al sistema delle notifiche, che ancora affligge il sistema italiano della riscossione”, si auspica che il Governo dia efficace attuazione ai princìpi e criteri direttivi per la revisione del sistema nazionale della riscossione.

La vicenda nasce dall’ordinanza n. 492 del 3 febbraio 2023 con cui il Giudice di Pace di Napoli ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 4 bis, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, introdotto dall’art. 3 bis, D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2021, n. 215, nella parte in cui ha introdotto limiti alla impugnabilità immediata del ruolo, per violazione degli artt. 3, 24, 111, 113 e 117 della Costituzione.

Tale norma, innalzando la soglia del bisogno di tutela giurisdizionale dei contribuenti ai fini della impugnazione “diretta” del ruolo e della cartella, invalidamente notificati, ma conosciuti occasionalmente tramite la consultazione dell’estratto di ruolo, fissa il principio per il quale: “l’estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella che si assume invalidamene notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera ), a del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”.

Le questioni di legittimità costituzionale sono sorte nel corso di un giudizio riguardante, in particolare, l’impugnazione di una cartella relativa alla TARSU del 2011, di cui si assumeva l’invalidità della notifica, conosciuta tramite la consultazione di estratti di ruolo, con conseguente maturazione della prescrizione del credito tributario, in assenza di atti interruttivi della stessa.

La Corte Costituzionale ritiene dunque inammissibili le questioni sollevate sull’art. 12, comma 4-bis, D.P.R. n. 602/1973, come modificato dall’art. 3-bis del D.L. n. 146/2021. In sostanza la Corte ha dichiarato che: consentendo di impugnare direttamente la cartella che si assume invalidamente notificata (di cui si sia venuti a conoscenza tramite la consultazione dell’estratto di ruolo), solo per alcune fattispecie attinenti a rapporti con la pubblica amministrazione, il legislatore, pur nell’intenzione di limitare una grave proliferazione di ricorsi spesso strumentali, ha però inciso sull’ampiezza della tutela giurisdizionale.

La sentenza ha precisato che “una riscossione ordinata e tempestivamente controllabile delle entrate è elemento indefettibile di una corretta elaborazione e gestione del bilancio, inteso come “bene pubblico” funzionale “alla valorizzazione della democrazia rappresentativa” (sentenza n. 184 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 247 e n. 80 del 2017), mentre meccanismi comportanti una “lunghissima dilazione temporale” (sentenza n. 18 del 2019) sono difficilmente compatibili con la sua fisiologica dinamica» (sentenza n. 51 del 2019). Espressione francamente non perfettamente comprensibile.

In questo contesto la norma censurata reagisce alla proliferazione dei ricorsi riconoscendo solo in taluni casi la meritevolezza della tutela “anticipata”, riservando agli altri casi la strada dell’impugnazione “indiretta” al fine di censurare, dinanzi al giudice tributario, l’atto esecutivo successivo viziato dalla mancata notifica dell’atto presupposto.

Al riguardo questa Corte precisa che “l’abuso di quanti approfittano della vulnerabilità del sistema – dove spesso l’agente della riscossione, addirittura, non è in grado di fornire la prova della regolare notifica – e così generano un preoccupante contenzioso seriale, non può in via sistematica comprimere il bisogno di tutela “anticipata” dei soggetti (fossero anche pochi) che legittimamente lo invocano. Il rimedio alla situazione che si è prodotta per effetto della norma censurata coinvolge però profili rimessi – quanto alle forme e alle modalità – alla discrezionalità del legislatore e non spetta, almeno in prima battuta, a questa Corte; tale risultato può, infatti, essere ottenuto intervenendo in più direzioni, peraltro non alternative: sia, da un lato, estendendo, con i criteri ritenuti opportuni, la possibilità di una tutela “anticipata” a fattispecie ulteriori (quali quelle prima qui indicate) rispetto a quelle previste dalla norma censurata, sia, dall’altro, agendo in radice, ovvero sulle patologie che ancora permangono nel sistema italiano della riscossione. Queste attengono sia al passato, dove, anche per cause storiche, si è accumulata una consistente massa di crediti ormai evidentemente prescritti, sia al futuro perché il sistema dovrà essere strutturato in modo che tale fenomeno non si ripeta, evitando, in particolare, il danno di gravi falle nell’adempimento del dovere tributario, «preordinato al finanziamento del sistema dei diritti costituzionali, i quali richiedono ingenti quantità di risorse per divenire effettivi» (sentenza n. 288 del 2019)”.

Con riferimento a questa indefettibile esigenza di superare, in definitiva, la grave vulnerabilità ed inefficienza, anche con riferimento al sistema delle notifiche, che ancora affligge il sistema italiano della riscossione, la Corte “non può peraltro esimersi dal formulare il pressante auspicio che il Governo dia efficace attuazione ai princìpi e criteri direttivi per la revisione del sistema nazionale della riscossione contenuti nella delega conferitagli dall’art. 18 della legge 9 agosto 2023, n. 111 (Delega al Governo per la riforma fiscale)”.

 

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