Censurabile in sede di legittimità la pronuncia che non considera, relativamente alla prova per presunzioni, l’affidabilità del ragionamento inferenziale complessivo

by admintrib

Favorevole alla parte pubblica l’ Ordinanza 16 maggio 2023 n. 13424 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Cataldi, Rel. De Rosa) ma recante degli interessanti spunti che possono essere utilizzati eventualmente anche nell’interesse del contribuente.

La questione, nel caso specifico, verte su un accertamento sintetico e sul valore meramente indiziario di alcuni elementi raccolti dall’Amministrazione.

La Corte ricorda un precedente (Cass. 02/10/2013, n. 22508), in cui ha ritenuto che la mera detenzione di estratti conto intestati ad altri soggetti, seppure con nomi di fantasia, non consentisse, di ricondurre, in mancanza di altri elementi, alla detentrice dei documenti la titolarità dei conti correnti bancari. Tuttavia, come emerge dalla lettura della motivazione di tale arresto, non si tratta dell’espressione di un astratto principio di diritto, che possa sovrapporsi a qualsiasi fattispecie concreta similare, ma della verifica della congruità del ragionamento inferenziale -e della sua motivazione- espresso dal giudice del merito nel caso concreto.

La questione non può quindi prescindere dalla considerazione del quadro indiziario del singolo caso concreto e dalla modalità con la quale esso sia stato valutato dal giudice a quo.

Per la Corte allora “la correttezza del ragionamento inferenziale si può censurare in sede di legittimità ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. Invero, secondo un noto orientamento espresso dalla SS.UU. n. 8053 del 2014, “per quanto riguarda specificamente il processo tributario la descritta riforma del 2012 non ha sottratto al controllo di legittimità le questioni relative al “valore” e alla “operatività” delle presunzioni, che nel predetto processo hanno una loro specifica e particolare rilevanza. Infatti, la peculiare conformazione del controllo sulla motivazione non elimina, sebbene riduca (ma sarebbe meglio dire, trasformi), il controllo sulla sussistenza degli estremi cui l’art. 2729 c.c., comma 1, subordina l’ammissione della presunzione semplice. In realtà è in proposito possibile il sindacato per violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 3. Ciò non solo nell’ipotesi (davvero rara) in cui il giudice abbia direttamente violato la norma in questione deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi su indizi che non siano gravi, precisi e concordanti, ma anche quando egli abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravità, precisione e concordanza, sussumendo, cioè, sotto la previsione dell’art. 2729 c.c., fatti privi dei caratteri legali, e incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della “fattispecie astratta”, ma erroneamente applicata alla “fattispecie concreta”.

In altre parole, poichè la sentenza, sotto il profilo della motivazione, si sostanzia nella giustificazione delle conclusioni, oggetto del controllo in sede di legittimità è la plausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze. L’implausibilità delle conclusioni può risolversi tanto nell’apparenza della motivazione, quanto nell’omesso esame di un fatto che interrompa l’argomentazione e spezzi il nesso tra verosimiglianza delle premesse e probabilità delle conseguenze e assuma, quindi, nel sillogismo, carattere di decisività: l’omesso esame è il “tassello mancante” alla plausibilità delle conclusioni rispetto alle premesse date nel quadro del sillogismo giudiziario. Ciò non significa che possa darsi ingresso, in alcun modo, ad una surrettizia revisione del giudizio di merito, dovendosi tener per fermo, mutatis mutandis, il rigoroso insegnamento secondo cui: “in sede di legittimità il controllo della motivazione in fatto si compendia nel verificare che il discorso giustificativo svolto dal giudice del merito circa la propria statuizione esibisca i requisiti strutturali minimi dell’argomentazione (fatto probatorio – massima di esperienza – fatto accertato) senza che sia consentito alla Corte sostituire una diversa massima di esperienza a quella utilizzata (potendo questa essere disattesa non già quando l’interferenza probatoria non sia da essa necessitata, ma solo quando non sia da essa neppure minimamente sorretta o sia addirittura smentita, avendosi, in tal caso, una mera apparenza del discorso giustificativo) o confrontare la sentenza impugnata con le risultanze istruttorie, al fine di prendere in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione” (Cass. n. 14953 del 2000)”.

Ancora, in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3 (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. 07/4/2014, n. 8053).

Nella fattispecie in esame, l’Ufficio non ha fondato la pretesa impositiva sul solo elemento del possesso della documentazione da parte della ricorrente, ma sul complesso delle circostanze nelle quali tale possesso si inseriva. Tale complesso di elementi indiziari non risulta essere stato valutato nei termini predetti.

 

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