Assunzione delle obbligazioni tributarie del de cuius: incombe su chi agisce l’onere di provare l’avvenuta accettazione da parte dell’erede chiamato in giudizio.

by AdminStudio

“In materia tributaria, l’assunzione delle obbligazioni del de cuius richiede l’accettazione dell’eredità, essendo insufficiente la partecipazione alla denuncia di successione, sicché l’assenza della pregressa accettazione esclude la legittimazione passiva per i debiti ereditari.”.

Questo il principio di diritto ribadito con sentenza n. 2940 del 31 gennaio 2024 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. De Masi, Rel. Penta).

Nei fatti un contribuente impugnava l’avviso di liquidazione con il quale l’Agenzia delle Entrate gli aveva richiesto il pagamento dell’imposta di registro con riferimento ad una sentenza emessa dal tribunale di Catania, eccependo, tra l’altro, la mancanza della sua qualità di erede. La CTP di Catania rigettava il ricorso. Sull’appello del contribuente, la CTR Sicilia rigettava il gravame, affermando, per quanto che il medesimo non aveva dimostrato di non aver accettato l’eredità. Avverso detta sentenza il contribuente proponeva ricorso per cassazione per aver la CTR ritenuto che l’onere di dimostrare la sua qualità di erede accettante fosse a suo carico, anziché gravare sulla creditrice Agenzia delle Entrate.

Come ricordato dalla Corte “In ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per il pagamento dei debiti del de cuius, incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale contenuto nell’art. 2697 cod. civ., l’onere di provare l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, che non può inferirsi dalla mera chiamata alla eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella sua qualità di erede” (Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 5247 del 06/03/2018 e Cass., Sez. L, Sentenza n. 21436 del 30/08/2018).

In particolare “Colui che deduce l’avvenuta accettazione dell’eredità come presupposto della domanda azionata, facendo valere un credito contro un chiamato all’eredità del debitore, quale erede ope legis ai sensi dell’art. 485 cod. civ., ha l’onere di provare, in applicazione del generale principio di cui all’art. 2697 cod. civ., la verificazione di tutti gli elementi di quella fattispecie, ed in particolare del possesso dei beni ereditari da parte del detto chiamato, senza possibilità d’invocare al riguardo presunzione di sorta” (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 11634 del 30/10/1991).

I Giudici, accolto il ricorso, hanno dunque ribadito il principio secondo cui “Poiché la responsabilità per i debiti tributari del de cuius presuppone l’assunzione della qualità di erede e la rinuncia all’eredità produce effetto retroattivo ex art. 521 c.c., il chiamato rinunciante non risponde di tali debiti, ancorché questi ultimi siano portati da un avviso di accertamento notificato dopo l’apertura della successione e divenuto definitivo per mancata impugnazione; in tale evenienza, dunque, legittimamente il rinunciante può far valere, in sede di opposizione alla cartella di pagamento, la propria mancata assunzione di responsabilità per i debiti suddetti” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 37064 del 19/12/2022).

Fa riflettere il fatto che il contribuente abbia dovuto percorrere tre gradi di giudizio per veder riconoscere un principio a dire il vero piuttosto elementare. Forse quando si riflette sul numero di ricorsi eccessivo in Cassazione occorrerebbe porsi il problema della qualità delle sentenze di merito e del loro frequente allineamento alle necessità di cassa dell’amministrazione.

 

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