Articolo 12, comma 7, dello “Statuto del contribuente”: la garanzia di tutela del contribuente assicurata mediante il termine dilatorio in questione non ammette equipollenti, non potendo essere sostituita da un contraddittorio più o meno lungo ed intenso svoltosi tra le parti

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“L’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, – decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo, perchè il termine è stato ritenuto necessario dal legislatore per garantire alla parte, alla conclusione delle indagini svolte presso di lui, un periodo di tempo utile per riesaminare i dati raccolti dai verificatori e determinarsi sulla sua successiva condotta, e rimane pertanto indifferente alle vicende che si sono compiute nelle fasi preliminari; pertanto la garanzia di tutela del contribuente assicurata mediante il termine dilatorio in questione non ammette equipollenti, non potendo essere sostituita da un contraddittorio più o meno lungo ed intenso svoltosi tra le parti; in conseguenza, qualora il termine sia stato violato, e l’Amministrazione finanziaria non provi la ricorrenza di ragioni d’urgenza, ciò comporta la nullità insanabile dell’atto impositivo notificato prima della decorrenza del termine, indipendentemente dalla natura del tributo accertato, sia esso armonizzato o non armonizzato”.

Il principi di diritto viene espresso nell’ordinanza 20 luglio 2023, n. 21517 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Cirillo, Rel. Di Marzio) che respinge l’impugnazione da parte dell’Agenzia delle Entrate di una serie di pronunce della CTR Toscana collegate alla stessa vicenda.

La questione è interessante giacché la parte pubblica, dato che nei fatti è innegabile il mancato rispetto del termine dilatorio, prova a far valorizzare dai Giudici di Legittimità tutta una serie di questioni che avrebbero potuto, nelle intenzioni della ricorrente, determinare un superamento del dato letterale della norma.

In particolare nella motivazione dell’ordinanza della Suprema Corte si legge che:

Osserva l’Amministrazione finanziaria che, in prosieguo di una prima verifica terminata il 2.4.2009, in data 1.3.2010 la Guardia di Finanza ha ripreso le operazioni di accertamento, notificando ai soggetti interessati “i prospetti contenenti le movimentazioni bancarie (versamenti e prelevamenti) sono stati concessi alla parte oltre 15 (QUINDICI) giorni per fornire le proprie giustificazioni” (ric., p. 3). Rileva inoltre l’Agenzia delle Entrate che, sebbene la GdF abbia qualificato le attività di controllo a carico della società come “verifica”, “l’accesso nei locali della società è avvenuto unicamente al fine di notificare gli esiti delle indagini finanziarie” (ric., p. 10).

In ogni caso, nella prospettazione dell’Amministrazione finanziaria, “ancorchè il termine di 60 giorni non sia stato rispettato, si osserva che il principio del contraddittorio non è stato nella specie violato” (ric. p. 13), perchè la contribuente è stata posta in condizione di presentare proprie osservazioni, le ha proposte, e sono anche state prese in considerazione, come emerge dallo stesso PVC. 7.1. Con il terzo strumento di impugnazione, poi, l’Ente impositore censura la impugnata decisione della CTR per non aver tenuto conto che la Suprema Corte ha escluso che esista un principio generale secondo cui deve trovare applicazione il contraddittorio endoprocedimentale nel corso dell’accertamento tributario, e quand’anche questo obbligo esiste, come avviene relativamente ai tributi armonizzati, rimane comunque onere del contribuente dimostrare che l’avvenuta violazione del diritto al contraddittorio abbia arrecato danno al suo diritto di difesa.

Infine, con il quarto strumento di impugnazione, la ricorrente critica che, come specificato anche nell’atto di appello a p. 6, ricorrevano specifiche “ragioni d’urgenza, ovvero l’esigenza di quantificare l’ammontare dei recuperi ed accelerare la procedura di riscossione; il fumus d’evasione sotteso alle indagini bancarie, unitamente all’ammontare elevato dei recuperi stessi; la circostanza in base alla quale la società era già stata destinataria di due avvisi di accertamento per le annualità 2005 e 2006; il fatto che il soggetto era in liquidazione dal 2009 ed aveva trasferito la propria residenza a (Omissis), senza alcuna giustificazione economica” (ric., p. 24).

La Corte rammenta la fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. SU, 29.7.2013, n. 18184) e le molte conferme di essa (tra le molte, Cass. sez. V, 30.10.2018, n. 27623; più di recente, Cass. sez. V, 25.7.2022, n. 23223).

Aggiunge poi che successivamente alla ricordata pronuncia delle Sezioni Unite non si è mancato di ribadire il concetto osservando, tra l’altro, che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, st. contr. deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poichè detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito”, Cass. sez. VI-V, 23.7.2020, n. 15843.

Dovendo assicurarsi piena tutela ai valori costituzionali ricordati, occorre allora ribadire che il mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, qualora l’Amministrazione finanziaria non provi la ricorrenza di ragioni d’urgenza, importa la nullità dell’atto impositivo notificato prima della decorrenza del termine. Tanto deve affermarsi, pertanto, rispondendo alle osservazioni proposte dall’Amministrazione finanziaria indipendentemente dalla natura del tributo accertato, sia esso armonizzato o non armonizzato. Nel caso di specie, si osservi, non si verte in una questione interpretativa circa la generale previsione di un obbligo di contraddittorio preventivo. La fattispecie in esame riguarda un’ipotesi in cui l’obbligo del rispetto del termine dilatorio è previsto testualmente dalla legge.

La Corte infine aggiunge che la garanzia di tutela del contribuente assicurata mediante il termine dilatorio in questione non ammette equipollenti, non potendo essere sostituita da un contraddittorio più o meno lungo ed intenso svoltosi tra le parti. Il termine è stato ritenuto necessario dal legislatore per garantire alla parte, alla conclusione delle indagini svolte presso di lui, un periodo di tempo utile per riesaminare i dati raccolti dai verificatori e determinarsi sulla sua successiva condotta, e rimane pertanto indifferente alle vicende che si sono compiute nelle fasi preliminari.

 

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