“La violazione che preclude la compensazione del credito è di matrice meramente formale. Essa attiene all’inadempimento dell’onere di inserimento del credito da compensare nella dichiarazione correlata all’anno di imposta che ne registra la genesi. L’infrazione deve ritenersi ovviabile sul piano del rapporto impositivo, disponendosi ugualmente delle informazioni necessarie a dimostrare che il soggetto passivo ha il diritto di recuperare l’imposta pagata.”.
Questo il principio di diritto espresso con sentenza n. 19940 del 12 luglio 2023 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Bruschetta, Rel. Leuzzi).
Nei fatti l’Agenzia delle entrate contestava con avviso bonario l’indebita compensazione di un credito vantato da una s.r.l. a titolo di Iva e di Irap in relazione al periodo di imposta 2006, sul presupposto della loro non recuperabilità nella dichiarazione depositata con riferimento all’anno d’imposta 2007. Falliti i tentativi di conciliazione la società impugnava la cartella successivamente emessa dall’Ufficio. La CTP accoglieva il ricorso della società, mentre la CTR, per converso, l’appello erariale. La società contribuente ricorreva per cassazione ribadendo nelle motivazioni che il credito, quand’anche non riportato nella dichiarazione relativa al 2006 (invero omessa), proprio in quanto correttamente maturato, fosse recuperabile nella prima dichiarazione utile successiva.
La Corte ha ricordato come la giurisprudenza di legittimità (SS.UU 13378/2016) sia ormai unanime nel ritenere “che la dichiarazione dei redditi, nei limiti in cui costituisce dichiarazione di scienza, non è un elemento intangibile, come tale esso non può neppure assurgere ad elemento condizionante in senso assoluto la natura e l’entità della pretesa fiscale a fronte di un diritto del contribuente che non sorge dalla dichiarazione, ma dalla legge”. In altri termini, come ribadito dai Giudici, “dall’omessa dichiarazione non possono essere fatti derivare oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli imposti dalla legge medesima, il che rappresenta l’espressione eminente di un principio generale del sistema tributario, ispirato all’art. 53 Cost.” (Cass. n. 11396 del 2015).
Come inoltre rimarcato dalla Corte “tale principio non viene in rilievo solo nei limiti temporali in cui la legge prevede il diritto al rimborso, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, ovvero la dichiarazione integrativa nel termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, ex articolo 2, comma 8-bis, del d.P.R. n. 322 del 1998, ma, altresì, rileva anche in sede contenziosa, consentendo al contribuente di opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria” (Cass. n. 3574 del 2014).
Nella giurisprudenza di legittimità si è, d’altronde, affermato in tema di detrazione che “se il contribuente non si attiene alle prescrizioni formali e contabili disciplinate dall’ordinamento interno, è onere dello stesso, a fronte della contestazione di omissioni o irregolarità, fornire adeguata prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali cui la normativa comunitaria ricollega l’insorgenza del diritto alla detrazione in parola” (Cass. n.11168 del 2014; Cass. n. 18924 del 2015).
Secondo i Giudici infatti “dinanzi alla posizione del contribuente quale titolare di diritti soggettivi perfetti derivanti dalla legge nazionale e dal diritto dell’UE, è il processo tributario il contesto privilegiato nel quale l’esigenza della giusta imposizione trova la sua armonica realizzazione a prescindere da moduli procedimentali diretti a garantire ed agevolare l’azione amministrativa”.
La Corte, rilevati la sostanziale ricognizione di debito da parte dell’erario (effetto confermativo del preesistente rapporto fondamentale) e l’accertamento dell’esistenza del credito da parte del giudice di merito, ha dunque accolto il ricorso della società.
(commento a cura del Dott. Lorenzo Tortelli)