Vendita di mobili del proprio appartamento di abitazione: non c’è reddito imponibile, né in ambito professionale né nella categoria dei redditi diversi

by admintrib

Tre gradi di giudizio per affermare il principio per cui un medico che vende i mobili del proprio appartamento non realizza alcun reddito imponibile.

Ci riferiamo alla Sentenza 17 aprile 2023 n. 10117 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, (Pres. Bruschetta, Rel. Hmeljak).

Nello specifico la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso con il quale il contribuente denunciava la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 67, comma 1, lett. i) del TUIR, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR errato nell’applicazione della norma impositiva attraverso la quale era stata riqualificata la fattispecie oggetto della pretesa, che, disciplinando i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente, non poteva includere l’attività posta in essere dal contribuente, consistente in un’unica vendita di arredi del proprio appartamento, peraltro connessa alla vendita dello stesso immobile, senza che l’Ufficio (che nell’avviso di accertamento aveva considerato la somma ricavata da detta vendita come ricavi non contabilizzati derivanti dal proprio lavoro autonomo di medico), peraltro, avesse mai richiesto, ai sensi dell’art. 71, comma 2, del TUIR, la documentazione relativa al loro costo.

Il motivo viene (ovviamente) ritenuto fondato nei termini di seguito indicati.

La Corte ricorda come la categoria dei redditi diversi sia disciplinata dall’art. 67 TUIR, che rappresenta una norma di chiusura del sistema complessivo di classificazione dei redditi e comprende diverse fattispecie eterogenee, prive di una struttura comune e non riconducibili alle altre categorie reddituali.

Fra i redditi diversi sono elencati quelli derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente (art. 67, comma 1, lett. i).

La vendita di mobili, facenti parte dell’arredo della propria abitazione, non rientra in nessuna della attività commerciali di cui all’art. 2195 c.c. (già richiamato dall’art. 55 TUIR per definire il reddito d’impresa), non potendosi considerare “attività di intermediazione nella circolazione dei beni”, la vendita di oggetti appartenenti al patrimonio personale del venditore.

L’Agenzia delle Entrate, infatti, non ha dimostrato che si trattasse di mobili acquistati al fine di essere rivenduti, mancando nella specie la prova di quell’intento speculativo che caratterizza l’attività commerciale di vendita, sia pure realizzata in modo occasionale (cfr. in relazione ad un caso opposto, Cass. 20.12.2006, n. 27211), e non potendosi ritenere, pertanto, ricavo soggetto a tassazione il corrispettivo derivante da detta cessione.

Quindi, a parte l’assurdità del recupero, va posta l’attenzione sul discrimine tra attività commerciale, ancorché non abituale, e non. Tale linea di demarcazione viene fissata dalla Corte nella connotazione del bene al momento dell’acquisto. Ovvero se il bene viene acquistato per essere rivenduto si ha l’intento speculativo, altrimenti no. Viene anche precisato come l’onere della prova dell’intento speculativo del contribuente sia a carico dell’Amministrazione.

 

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