Termini di accertamento: non si applicano alla contestazione del diritto al rimborso del contribuente. Si applica l’articolo 1442, ultimo comma, codice civile

by admintrib

In tema di rimborso di imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento.

Lo conferma la sentenza 21 giugno 2023 n. 17750 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Cirillo, Rel. Lume) che esclude che il principio riguardi solo i crediti di natura agevolativa.

Si ricorda al riguardo che sino al 2016 la materia per cui è causa risultava controversa, profilandosi in seno alla giurisprudenza di legittimità due orientamenti.

Il primo indirizzo giurisprudenziale, favorevole al contribuente, affermava che, qualora il credito si fosse consolidato per effetto di un riconoscimento esplicito in sede di liquidazione, ovvero a seguito di un riconoscimento implicito derivante dal mancato esercizio nei termini del potere di rettifica, l’Amministrazione era tenuta ad eseguire, in favore del contribuente, il rimborso del relativo credito, e che quest’ultimo era soggetto alla ordinaria prescrizione decennale, decorrente dal riconoscimento del credito stesso. La Corte aveva, infatti, ritenuto che il contribuente, qualora avesse evidenziato nella dichiarazione dei redditi un credito d’imposta, non avrebbe dovuto, al fine di ottenerne il rimborso, compiere alcun altro adempimento, ma avrebbe solo dovuto attendere che l’Amministrazione finanziaria esercitasse, sui dati esposti in dichiarazione, il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte prevista dall’art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, ovvero, ricorrendone i presupposti, secondo lo strumento della rettifica della dichiarazione. In tale orientamento, peraltro, si iscrivono gli arresti citati dalla ricorrente (Cass. 08/06/2012, n. 9339; Cass. 21/01/2008, n. 1154;Cass. 23/02/2005, n. 3718; Cass. 06/08/2002, n. 11830).

Giurisprudenza successiva, di contrario avviso, riteneva invece che il termine di cui al disposto art. 36-bis cit. (nel testo, applicabile ratione temporis, introdotto dall’art. 1 del D.P.R. n. 506 del 1979), entro il quale l’Amministrazione deve provvedere alla liquidazione dell’imposta, avesse natura ordinatoria, e che pertanto il credito esposto in dichiarazione non avrebbe potuto consolidarsi con lo spirare del termine predetto, neppure nell’ipotesi in cui l’Amministrazione avesse omesso di procedere ad accertamento e rettifica nel termine fissato dall’art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973.

Le Sezioni Unite (Cass., Sez. U., 15/03/2016, n. 5069), a soluzione del contrasto, hanno affermato il principio secondo il quale “In tema di rimborso di imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum”, desumibile dall’art. 1442, ultimo comma, c.c.”

Tale principio, inoltre non attiene ai soli crediti di natura agevolativa o per i quali occorra una manifestazione di volontà da parte del contribuente.

A detto principio si è uniformata la successiva giurisprudenza (cfr., tra le altre, Cass. 17/06/2016, n. 12557; Cass. 31/01/2018, n. 2392; Cass. 06/02/2019, n. 3404; Cass. 13/03/2019, n. 7132; Cass. 30/10/2019, n. 27841) e di recente esso è stato ribadito da Cass., Sez. U., 29/07/2021, n. 21766, con la precisazione che ciò non vale ove il credito sia scaturito dalla sottostima dell’imposta dovuta che in realtà era maggiore e che è stata evasa (il che non rileva nel caso di specie); in tale ultima decisione, che ha peraltro esteso il principio anche all’IVA, non è sufficiente ai fini del rimborso del credito che esso sia esposto in dichiarazione. Né l’inerzia può equivalere al riconoscimento implicito del credito, per l’assenza di fatti impeditivi o preclusivi del rimborso, in ragione di un obbligo dell’amministrazione di attivarsi, derivante anche dalla combinazione dei commi 2 e 5 dell’art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente (disposizioni in parte anche richiamate nel caso di specie dalla società ricorrente nel corpo del motivo). Al contrario, il legislatore prende sì in considerazione l’inerzia, ma assegna ad essa il significato di rifiuto tacito, in quanto tale impugnabile: l’art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 31/12/1992, n. 546 ammette il ricorso contro il silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione a qualsiasi richiesta di rimborso; e il silenzio rifiuto funge “da anello di congiunzione tra la procedimentalizzazione del diritto al rimborso e la sua tutela in sede giudiziale.

L’omesso esercizio del potere di controllo non determina, quindi, alcun effetto accertativo del credito vantato, che può derivare soltanto dalla positiva verifica di rispondenza alla realtà di quanto dichiarato, evidenziando altresì le Sezioni Unite ??che il credito di cui si discute, anche non dovuto, divenga incontrovertibile soltanto perchè è indicato in una dichiarazione non più assoggettabile al potere di accertamento o verifica, striderebbe con la matrice costituzionale dell’azione impositiva, presidiata dai precetti della riserva di legge (art. 23 Cost.), del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), e anche dell’imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost)”.

Successivi plurimi interventi hanno ulteriormente precisato che lo svolgimento senza rilievi del controllo automatizzato ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 (del resto, finalizzato esclusivamente a ridurre i crediti di imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione) non equivale a riconoscimento implicito del credito esposto in dichiarazione, potendo questo essere contestato anche dopo la scadenza dei termini per l’accertamento (Cass. 13/03/2019, n. 7132; Cass. 18/02/2022, n. 5446; Cass. 19/10/2022, n. 30804).

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