Società di comodo: ammessa al rimborso IVA la società che non ha superato il test di operatività per una causa esterna e non dipendente dalle scelte imprenditoriali

by admintrib

La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, nella sentenza 21 giugno 2023 n. 17724 (Pres. Cirillo, Rel. Giudicepietro) conferma la decisione di appello che ammetteva al rimborso una società che non aveva rispettato il “test di operatività”, provando tuttavia in giudizio l’anomalia della propria situazione reddituale.

Secondo il giudice di appello, sussiste uno specifico potere-dovere dell’ufficio di “disapplicare” la disciplina sulle societò di comodo in presenza di specifiche situazioni oggettive, che giustifichino la mancata produzione del livello minimo di ricavi; per l’effetto l’ufficio ha l’obbligo di riscontrare la presenza di giuste cause che abbiano impedito l’operatività della società contribuente, onde previamente accertare la causa di inattività e la sussistenza di eventuali finalità elusive. Secondo la C.t.r., l’ufficio appellante, pur deducendo questioni sistematiche e di massima, nulla avrebbe contestato sull’accertamento di fatto come condotto dai primi giudici, che avevano riscontrato la sussistenza di cause oggettive di giustificazione dell’inoperatività, quali la sentenza del Giudice Europeo, alla quale seguì il mancato rilascio delle autorizzazioni amministrative e l’abbandono politico del progetto per la realizzazione dei termovalorizzatori, di guisa che la statuizione sul punto sarebbe divenuta definitiva.

Per la Corte, sebbene ai sensi del comma 4-bis dell’art. 30 l. n. 724/1994 vigente ratione temporis il terreno elettivo per la dimostrazione delle “oggettive situazioni” che abbiano impedito la regolare operatività sia quello dell’interpello disapplicativo disciplinato nella stessa sede, il contribuente può comunque proporre la questione dei presupposti della disapplicazione per la prima volta direttamente in giudizio, senza la previa proposizione dell’interpello. Come la Cassazione ha avuto modo di precisare (cfr. Cass. n. 4946/2021), la riformulazione del testo dell’art. 30 applicabile ratione temporis al caso di specie (anno di imposta 2008), con l’eliminazione nel comma 1 del riferimento alla prova contraria da parte del contribuente, non ha fatto assurgere l’interpello disapplicativo a condizione di procedibilità e di limitazione della tutela giurisdizionale del contribuente, nè ha comportato l’elisione della facoltà, per quest’ultimo, di superare la presunzione legale di “non operatività”, sancita in precedenza dal comma 1 della disposizione in esame, mediante la dimostrazione in giudizio di circostanze oggettive e non imputabili che abbiano reso impossibile il conseguimento di ricavi.

Pertanto, conserva validità il principio, più volte enunciato, secondo il quale, in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), la presentazione dell’interpello e la conseguente risposta negativa dell’Amministrazione ha natura di parere, al quale il contribuente può non adeguarsi, senza doverlo necessariamente impugnare, per evitarne la cristallizzazione, potendo comunque impugnare gli atti successivi di applicazione delle disposizioni antielusive(Cass. n. 18807/2017; n. 6200/2015).

La mancata presentazione dell’interpello o la risposta negativa dell’amministrazione finanziaria non impediscono al contribuente di esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico impositivo che gli venga successivamente notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva; in ogni caso, anche se l’interpello non sia stato proposto, il contribuente potrà comunque richiedere in sede giurisdizionale l’accertamento dei presupposti per la disapplicazione della disciplina antielusiva (Cass. n. 17010/2012; n. 7402/2019; n. 10158/2020; da ultimo Cass. n. 16472/2022).

Si è anche rilevato che le modifiche apportate all’art. 30 l. n. 724/1994 dalla l. n. 296/2006 non hanno eliminato la possibilità per il contribuente di vincere la presunzione legale della finalità elusiva delle società non operative attraverso la prova contraria qualificata, contenutisticamente tipizzata dalla l. n. 724/1994, art. 30, comma 4-bis, della ricorrenza di una situazione oggettiva a sè non imputabile che ha reso impossibile il conseguimento di ricavi e la produzione di reddito entro la soglia minima stabilita ex lege.

Tali principi, specificamente enunciati in materia di impugnazione dell’avviso di accertamento, devono ritenersi applicabili anche nel caso in cui si controverta sull’impugnazione del diniego avverso l’istanza di rimborso presentata dal contribuente.

Specificamente in tema di i.v.a., occorre ricordare che la disciplina di cui all’art. 30, l. n. 724 del 1994, che qualifica la società di comodo – non ammessa perciò al rimborso IVA – in rapporto alla sottoproduzione di ricavi, onera l’ente che non abbia raggiunto lo standard normativo a provare le situazioni giustificative: il fallimento del cd. test di operatività istituisce cioè una presunzione iuris tantum di inoperatività, che è onere della società vincere mediante prova contraria esplicativa dell’anomalia reddituale (v. Cass. n. 6195/2017).

Nel caso di specie la C.t.r. ha ritenuto che l’inoperatività della società consortile fosse dovuta a cause oggettive non imputabili alla stessa, e, richiamando la motivazione dei giudici di prima istanza, ha precisato che la costruzione dei termovalorizzatori fu impedita dalla sentenza del Giudice Europeo, alla quale seguì il diniego delle autorizzazioni amministrative e l’abbandono, sul versante politico, del progetto, peraltro ostacolato da eclatanti manifestazioni popolari. Come questa Corte ha chiarito (Cass. n. 36365/2021), tra le oggettive situazioni possono rientrare i casi in cui non sono state concesse le necessarie autorizzazioni amministrative (Cass.n. 34642/2019), pur essendo state tempestivamente richieste, oppure il caso in cui venga svolta esclusivamente un’attività di ricerca propedeutica all’esercizio di un’altra attività produttiva, sempre che la stessa attività di ricerca non consenta, di per se´, la produzione di beni e servizi e la conseguente realizzazione di proventi (in tal senso vedi Circolare dell’Agenzia delle entrate del 2 febbraio 2007 n. 5/E).

Tuttavia, le oggettive situazioni che rendono impossibile il conseguimento della soglia dei ricavi e degli altri elementi positivi di reddito non sussistono in caso di carenze “pianificatorie” aziendali (Cass. n. 27976/2020).

In particolare, si è detto che il mancato ottenimento di benefici economici non può costituire una situazione oggettiva in grado di disinnescare la presunzione legale di società di comodo, emersa a seguito del test di operatività, in quanto l’imprenditore non può basare la propria attività esclusivamente sull’ausilio e sul supporto di incentivi economici pubblici, incorrendo in una carenza di pianificazione e di programmazione dell’attività economica.

Questa Corte ha, dunque, enunciato il principio secondo cui “in tema di società di comodo, non sussistono le oggettive situazioni di carattere straordinario, che rendono impossibile il superamento del test di operatività, ex art. 30, comma 4-bis, della l. n. 724 del 1994, nella versione all’epoca vigente, nell’ipotesi di totale assenza di pianificazione aziendale da parte degli organi gestori della società o di completa “inettitudine produttiva”, gravando sull’imprenditore, anche collettivo, – ai sensi dell’art. 2086, comma 2 c.c., come modificato dall’art. 375 c.c.i., in coerenza con l’art. 41 Cost. – l’obbligo di predisporre i mezzi di produzione nella prospettiva del raggiungimento del lucro obiettivo e della continuità aziendale” (Cass. n. 36365/2021, sopra citata).

Nella fattispecie in esame non si ravvisano carenze organizzative imputabili all’imprenditore, poiche`, come evidenziato dal giudice di merito, l’impedimento allo svolgimento dell’attività imprenditoriale e` dipeso dall’intervento del giudice Europeo (con la sentenza della CGEU del 18 luglio 2007, emessa a seguito di ricorso proposto dalla Commissione nella procedura di infrazione a carico della Repubblica italiana), che ha reso impossibile l’inizio dell’attività, già ostacolato da un lungo iter amministrativo di rilascio delle necessarie autorizzazioni per la costruzione dei termovalorizzatori, tempestivamente richieste dalla società.

Articoli correlati

ilTRIBUTO.it – Associazione per l’approfondimento e la diffusione dell’informazione fiscale nasce a giugno del 2014 intorno all’idea che la materia fiscale sia oggi di fondamentale importanza e che debba essere sempre piú oggetto di studio e di critica – sempre costruttiva – da parte di persone preparate.

I prezzi dei nostri libri sono Iva 4% esclusa

RIMANI AGGIORNATO!
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

CONTATTI

+39 055 572521

info@iltributo.it

supportotecnico@iltributo.it

Seguici sui nostri social

©2024 – Associazione culturale “il tributo” – Sede Legale Via dei Della Robbia, 54 – 50132 Firenze C.f. 94238970480 – P.iva 06704870481