“In tema di accertamento a mezzo studi di settore, la riduzione di un anno dei termini di decadenza di cui all’art. 43, primo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, prevista dall’art. 10, comma 9, del D.L. n. 201 del 2011, presuppone la fedele esposizione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, sicché detta riduzione non è applicabile nel caso in cui, anche successivamente allo spirare del termine ridotto, si accerti la non veridicità dei dati forniti dal contribuente”.
Questo è il principio di diritto enunciato nell’Ordinanza n. 28457 del 5 novembre 2024 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Manzon, Rel. Nonno) la quale accoglie il ricorso di una società e del socio, ma con riferimento ad altra eccezione, mentre considera non fondato il motivo relativo all’allineamento agli studi di settore con riduzione dei termini di accertamento, proprio in virtù della inesattezza dei dati presi a riferimento per gli studi stessi.
Sul punto i Giudici di Legittimità rilevano che ai sensi dell’art. 10, comma 9, del D.L. n. 201 del 2011, “Nei confronti dei contribuenti soggetti al regime di accertamento basato sugli studi di settore, ai sensi dell’articolo 10, della legge 8 maggio 1998, n. 146, che dichiarano, anche per effetto dell’adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori a quelli risultanti dell’applicazione degli studi medesimi: (…) b) sono ridotti di un anno i termini di decadenza per l’attività di accertamento previsti dall’articolo 43, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dall’articolo 57, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1972, n. 633; la disposizione non si applica in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”. Ma sottolineano altresì che il successivo comma 10 chiarisce, altresì, che la disposizione del comma 9 si applica a condizione che “a) il contribuente abbia regolarmente assolto gli obblighi di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, indicando fedelmente tutti i dati previsti”.
Nel caso specifico i ricorrenti hanno evidenziato di avere depositato lo studio di settore, che presenta dati coerenti con l’andamento dell’attività imprenditoriale, e che l’Amministrazione finanziaria non avrebbe potuto riaprire i termini sulla base di contestazioni successive al loro concreto spirare.
In realtà, secondo la Corte, la disposizione normativa consente l’abbreviazione dei termini previsti dalla legge solo nel caso in cui l’esposizione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore sia stata fedele. Ciò significa che, nel caso di esposizione infedele, detta abbreviazione non può essere concessa: ed è proprio quanto accaduto nel caso di specie, laddove è contestata al ricorrente l’esposizione di costi fittizi in quanto conseguenti all’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Né può dirsi che si tratti di contestazione a posteriori, a termini scaduti, atteso che la sussistenza di una dichiarazione infedele preclude fin dall’inizio la concessione del beneficio.
Con riferimento alla specifica vicenda è altresì osservato che – come correttamente osservato dalla difesa erariale – l’esposizione di costi non effettivamente sostenuti integra l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 cod. proc. pen. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, con conseguente inapplicabilità dell’abbreviazione dei termini anche per questa concorrente ragione.
Il ricorso viene accolto, ma, come detto su altre e diverse eccezioni (l’emissione “ante tempus” dell’avviso di accertamento in violazione dell’articolo 12 comma 7 della L. 212/2000).