La terza sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 41238 depositata in data 11 novembre 2024 (Pres. Di Nicola, Rel. Pazienza) applica le nuove regole della riforma delle sanzioni per violazione di norme tributarie introdotta dal D.Lgs. 87/2024 annullando la condanna emessa dalla Corte d’appello di Napoli nel caso di un imprenditore che non aveva versato IVA nell’anno 2016 a causa del mancato incasso reiterato di fatture, tra l’altro emesse anche verso enti pubblici.
Nella motivazione si evidenzia come la Corte d’Appello si fosse adeguata a precedenti pronunce della stessa Suprema Corte, secondo cui “in tema di reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’emissione della fattura, se antecedente al pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all’obbligo di versare comunque la relativa imposta sicché egli non può dedurre il mancato pagamento della fattura né lo sconto bancario della fattura quale causa di forza maggiore o di mancanza dell’elemento soggettivo” (Sez. 3, n. 38594 del 23/01/2018, M., Rv. 273958 – 01. V. anche Sez. 3, n. 6506 del 24/09/2019, dep. 2020, Mattiazzo, Rv. 278909 – 01, secondo la quale “in tema di reati tributari, l’omesso versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale dei propri clienti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, atteso che l’obbligo del predetto versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all’ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi”).
I Giudici di Legittimità non mancano comunque di evidenziare che un certo filone giurisprudenziale minoritario avesse, anche in vigenza delle precedenti regole sanzionatorie, temperato tale rigore interpretativo statuendo ad esempio che “in tema di reati tributari, l’omesso versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso di crediti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, trattandosi di inadempimento riconducibile all’ordinario rischio di impresa, sempre che tali insoluti siano contenuti entro una percentuale da ritenersi fisiologica” (Sez. 3, n. 31352 del 05/05/2021, Baracchino, Rv. 282237 – 01, la quale, in applicazione del principio, ha annullato con rinvio la sentenza di condanna, riguardante insoluti per circa il 43% del fatturato, cui era seguita una gravissima crisi di liquidità). Tale decisione è stata esplicitamente richiamata, in senso adesivo, da Sez. 3, n. 19651 del 24/2/2022, Semprucci, la quale ha posto l’accento sulla necessità di tenere adeguato conto delle deduzioni difensive volte a comprovare una concreta impossibilità di far fronte agli obblighi di versamento, per la situazione di crisi dell’impresa determinata da ingenti inadempimenti dei clienti, le modalità e le tempistiche del ricorso al credito da parte del soggetto agente, ecc. (cfr. il par. 2 della sentenza. In precedenza, per un’apertura in ordine al rilievo da conferire alla crisi di liquidità determinata dal mancato pagamento delle fatture emesse, v. Sez. 3, n. 29873 del 01/12/2017, dep. 2018, Calabro, Rv. 273690 – 01).
Questa lettura oggi trova ormai un importante riscontro nel diritto positivo il recente D.Lgs. n. 87 del 14/06/2024, intervenendo sull’art. 13 D.Lgs. n. 74 del 2000, ha introdotto (con il nuovo comma 3-bis) una ulteriore causa di non punibilità per i reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter del medesimo decreto, “se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi”.
Nel caso specifico la difesa già nel corso del primo grado di giudizio, aveva non solo documentato l’accettazione della propria proposta concordataria da parte dell’Agenzia delle Entrate (successivamente recepita nel decreto di omologazione del concordato preventivo emesso in data 06/10/2021 dal Tribunale di Napoli), ma aveva allegato circostanze di estremo rilievo sul tema.
In particolare da un lato, al riepilogo delle fatture emesse e non pagate nell’anno di imposta 2016 (complessivo imponibile non pagato di Euro 570.112,07, IVA relativa pari a Euro 125.424,26) e, d’altro lato, al contenuto della relazione del commissario giudiziale nell’ambito della procedura di concordato preventivo, nella quale si individuano da un lato le cause della crisi nel blocco dei pagamenti da parte della P.A., nella crisi del mercato delle costruzioni e nel mancato recupero di ingenti crediti verso terzi (cfr. pag. 23 della relazione), e si evidenzia che la XY Srl aveva cercato di far fronte alla situazione riducendo i costi di produzione (licenziamenti collettivi) e provvedendo ad un aumento di capitale (con il conferimento, proprio nell’anno di imposta 2016, di un immobile in Napoli cfr. pag. 26 della relazione).
In conclusione, la Corte statuisce, in virtù della nuova normativa e delle circostanze di fatto alla base della vicenda, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello competente.