Perfettamente ammissibile l’accesso al rimborso IVA tramite rappresentante fiscale alla luce della mera esistenza della stabile organizzazione

by admintrib

Leggendo la giurisprudenza della Suprema Corte colpisce che in molti casi per avere una lettura rigorosa e completa della normativa si debba arrivare al terzo grado di giudizio.

Nella vicenda specifica una società estera, con stabile organizzazione in Italia, impugnava il diniego di rimborso iva notificatole per l’anno 2011 con il quale l’Amministrazione negava la restituzione dell’iva a credito per il periodo d’imposta 2010, iva richiesta a rimborso per mezzo del proprio rappresentante fiscale nominato ex D.P.R. n. 633 del 1972, art. 35 bis, derivata dall’aver effettuato da un lato operazioni di acquisto di prodotti chimici in Italia, per i quali aveva pagato l’iva addebitata in rivalsa dal fornitore, dall’altro cessioni a clienti italiani soggetti a reverse charge.

L’Amministrazione opponeva l’esistenza in capo alla contribuente di una posizione iva riferita alla stabile organizzazione di (Omissis) della R.Q. SA e la conseguente impossibilità – dovendo sussistere una sola partita iva – per il soggetto non residente di essere dotato in Italia di una stabile organizzazione e anche di nominare contemporaneamente un rappresentante fiscale;

La CTP e la CTR confermavano questa impostazione, valorizzando il mero dato formale e inibendo il recupero dell’IVA a credito.

La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, con la Sentenza 3 maggio 2023 n. 11608 (Pres. Manzon, Rel. Succio) rivede finalmente, in conformità alle regole della Direttiva IVA e alla lettura di esse da parte della Corte UE, tale impostazione accogliendo il ricorso.

Viene prima esaminato, alla luce di tali principi l’ art. 38-bis.del D.P.R. n. 633 del 1972, 2 secondo il quale, nel dettato applicabile ratione temporis “i soggetti stabiliti in altri Stati membri della Comunità (ora Unione), assoggettati all’imposta nello Stato in cui hanno il domicilio o la residenza, chiedono il rimborso dell’imposta assolta sulle importazioni di beni e sugli acquisti di beni e servizi, sempre che sia detraibile a norma degli artt. 19, 19-bis1 e 19-bis2, secondo le disposizioni del presente articolo”.

La disposizione prosegue statuendo che “il rimborso non può essere richiesto dai soggetti che nel periodo di riferimento disponevano di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato ovvero dai soggetti che hanno ivi effettuato operazioni diverse da quelle per le quali debitore dell’imposta è il committente o cessionario e da quelle non imponibili di trasporto o accessorie ai trasporti (ed ulteriori espressamente previste dalle varie disposizioni novellatrici)”.

La ragione dell’esclusione dalla possibilità di chiedere il rimborso dei soggetti dotati di stabile organizzazione, secondo la Corte, è evidente: in quel caso, infatti, le operazioni effettuate “direttamente” dalla casa madre per il tramite della stabile organizzazione confluiscono tutte nella posizione ai fini dell’IVA attribuita alla stabile organizzazione medesima in quanto di per sè operante nel territorio dello Stato e sono oggetto prima di rilevazione in quelle scritture contabili, poi di ostensione – quanto alle risultanze – nella dichiarazione che ne consegue in capo a quel soggetto.

In forza del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17 c. 3, i soggetti non dotati di stabile organizzazione su cui ricadano obblighi o diritti derivanti dall’applicazione delle norme sull’IVA li adempiono, o, rispettivamente, li esercitano, “direttamente”, ossia in quanto tali, “nei modi ordinari”, secondo la seguente alternativa: “se identificati ai sensi dell’art. 35-ter, ovvero (per il) tramite (di) un loro rappresentante residente nel territorio dello Stato nominato nelle forme previste dal decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 441, art. 1, comma 4”.

La nomina di un “rappresentante residente nel territorio dello Stato”, ossia del c.d. rappresentante fiscale di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17 c. 2, è alternativa all’identificazione “ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 35-ter”, definita anche “identificazione diretta”, fermo restando che nè l’una nè l’altra comportano lo stabilimento del soggetto non residente in Italia, essendo finalizzate entrambe – come espressamente affermato dalla Corte di Giustizia in relazione alla nomina del rappresentante fiscale, con argomentazione tuttavia “a fortiori” estensibile all’identificazione diretta – allo “scopo di consentire al fisco di avere un interlocutore nazionale quando il soggetto passivo è stabilito all’estero” (CGUE, 19 febbraio 2009, in causa C-1/08, At. Dott. Srl , par. 34).

L’identificazione diretta, che viene in linea di conto nello specifico giudizio, è disciplinata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 35-ter, introdotto dal decreto legislativo 19 giugno 2002, n. 191, in attuazione della direttiva 2000/65/CE del Consiglio, del 17 ottobre 2000, di modifica della direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, quanto alla determinazione del debitore dell’imposta sul valore aggiunto, al fine di consentire agli operatori economici di assolvere gli obblighi e di esercitare i diritti, derivanti dall’applicazione dell’IVA, direttamente in ogni singolo Stato membro.

Secondo l’art. 35-ter c. 1 surrichiamato “i soggetti non residenti nel territorio dello Stato, che, ai sensi dell’art. 17, comma 3, intendono assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti in materia di imposta sul valore aggiunto direttamente, devono farne dichiarazione all’Ufficio competente, prima dell’effettuazione delle operazioni per le quali si vuole adottare il suddetto sistema”. La previa dichiarazione è finalizzata – giusta il comma 3 del medesimo articolo – a consentire all’ufficio di attribuire “al richiedente un numero di partita IVA., in cui sia evidenziata anche la natura di soggetto non residente identificato in Italia. Il predetto numero deve essere riportato nelle dichiarazioni e in ogni altro atto, ove richiesto”.

La disposizione qui richiede in sostanza l’identificazione del rappresentante fiscale, nelle relazioni che questi intrattiene con l’Amministrazione finanziaria, ai fini del rapporto tributario.

Viene poi ricordato, sul punto, che la Corte di Giustizia (CGUE, 21 ottobre 2010, in causa C-385/09, Nidera Handelscompagnie BV) – premesso che gli Stati membri possono limitare il diritto alla detrazione dell’IVA solo nei casi espressamente previsti dalla direttiva 2006-112 – afferma con chiarezza che “l’identificazione prevista all’art. 214 della direttiva 2006-112, al pari degli obblighi di cui all’art. 213 di quest’ultima (…), non è un atto costitutivo del diritto alla detrazione, che sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile, bensì rappresenta un requisito formale a fini di controllo” (par. 50), ragion per cui “non si può impedire ad un soggetto passivo IVA di esercitare il proprio diritto alla detrazione in quanto non si sarebbe registrato ai fini dell’IVA prima di utilizzare i beni acquisiti nell’ambito della sua attività imponibile” (par. 51).

Ne deriva che l’identificazione – operazione che nel diritto interno consiste nell’attribuzione della partita iva, il “numero” al quale fa riferimento la disposizione unionale di cui sopra – serve a identificare il soggetto in modo certo e inequivoco, non a fondare il diritto alla detrazione (o al rimborso, che costituisce analogo meccanismo insopprimibile diretto a tutelare la neutralità dell’IVA).

Il principio del diritto al rimborso riposa in definitiva sulla regola della prevalenza dei requisiti sostanziali, quand’anche il soggetto passivo si sia reso responsabile dell’inosservanza di taluni requisiti formali, a meno che questa inosservanza abbia prodotto l’effetto di impedire l’acquisizione della prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali (CGUE, 7 marzo 2018, in causa C-159/1, Întreprinderea Individuala Dobre M. Marius, par. 35; Id. 28 luglio 2016, in causa C- 332/15, Astone, parr. 45 e 46; Id. 9 luglio 2015, Radu Florin Salomie e Nicolae Vasile Oltean, parr. da 58 a 63; Id., 11 dicembre 2014, in causa C-590/13, Idexx Laboratories Italia, parr. da 36 a 40).

Vi sono due soli limiti alla prevalenza dei requisiti sostanziali:

– da un lato, il diritto alla detrazione (e, per quanto detto, al rimborso) può sempre essere negato qualora si dimostri, alla stregua di elementi oggettivi, che è invocato in modo fraudolento o abusivo (CGUE, 19 ottobre 2017, in causa C-101/16, Paper Consult, par. 43);

– dall’altro lato, a prescindere dalla considerazione che “il soggetto passivo che non rispetta i requisiti formali stabiliti dalla direttiva 2006/112 può essere punibile con una sanzione amministrativa, conformemente ai provvedimenti nazionali che traspongono tale direttiva nel diritto interno”, occorre comunque soddisfare l’esigenza fondamentale della certezza del diritto, finanche nel caso in cui “l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA non fosse soggetto ad alcun limite nel tempo”, poichè “l’obbligo per i soggetti passivi di registrarsi ai fini dell’IVA potrebbe essere svuotato di significato se gli Stati membri non avessero il diritto d’imporre un termine ragionevole a tal fine” (CGUE, 21 ottobre 2010, in causa C-385/09, Nidera Handelscompagnie BV, parr. 52 e 53, a termini della quale è stato ritenuto ragionevole essersi la contribuente registrata “prima che fossero passati sei mesi dalla realizzazione delle operazioni che da(vano) luogo a tale diritto” (par. 53).

E’ ancora la Corte dell’Unione (CGUE, 16 luglio 2009, causa C-244/08, Commissione contro Itali) ad aver sancito, significativamente, proprio l’illegittimità della normativa interna italiana, che obbligava il soggetto non residente ad attivare in ogni caso la procedura del rimborso diretto ex D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-ter in presenza di stabile organizzazione nel territorio italiano: il giudice comunitario ha limitato l’utilizzo della suddetta procedura ai soli casi in cui il soggetto richiedente non sia stabilito in Italia ovvero ivi identificato a mezzo di una propria stabile organizzazione.

Risulta superato quindi lo specifico divieto, che era stabilito dalla Ris. Min. 327/E/2008 in considerazione dell’autonomia all’epoca riconosciuta alle rispettive posizioni fiscali, e cioè da un lato non poteva utilizzare la posizione fiscale per cui aveva richiesto partita IVA mediante l’identificazione diretta per assolvere obblighi ed esercitare diritti relativi alla stabile organizzazione; dall’altro non poteva procedere alla compensazione di posizioni debitorie e creditorie riferibili a posizioni fiscali diverse.

In pratica, la modalità di recupero dell’IVA dipende dal luogo di stabilimento del soggetto estero: da un lato il rimborso è la procedura per il soggetto non stabilito in Italia; all’altro la detrazione sugli acquisti di beni e servizi è la procedura per la stabile organizzazione.

Dalla ricostruzione del quadro normativo, deriva che secondo la disciplina comunitaria, il rimborso è la modalità applicativa più appropriata per il recupero dell’IVA a credito, tenuto conto, da un lato, dell’art. 192-bis della Direttiva 2006/112/CE e, dall’altro, dell’art. 53 del Reg. (CE)282-2011.

In dettaglio, si prevede con tali disposizioni unionali che il soggetto non residente resti tale anche se possiede una stabile organizzazione in Italia quando le operazioni poste in essere non possano essere riconducibili alla stabile organizzazione (o con terminologia anglofona, branch) in forza dell’art. 192-bis) ridetto; seppure inserita nell’ambito delle disposizioni che regolano la detrazione, la norma esprime un principio di carattere generale, con effetti anche sul diritto di rimborso spettante ai soggetti non residenti.

Dispone infatti l’art. 192 bis della Direttiva, con riferimento ai soggetti passivi non stabiliti nel territorio dello Stato, nella versione ratione temporis applicabile che “ai fini della presente sezione, un soggetto passivo che dispone di una stabile organizzazione nel territorio di uno Stato membro in cui è debitore di imposta si considera soggetto passivo non stabilito nel territorio di tale Stato membro qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni:

a) egli effettua in tale paese una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile;

b) la cessione di beni o prestazione di servizi è effettuata senza la partecipazione di una sede del cedente o del prestatore di servizi situata nello Stato membro in questione”.

Tale principio è poi ulteriormente rafforzato dal Regolamento di esecuzione, nella parte in cui viene chiarito il concetto di partecipazione di una stabile organizzazione alla cessione o prestazione ai fini dell’applicazione del citato art. 192-bis: tale partecipazione richiede che i mezzi umani e tecnici della stabile organizzazione siano effettivamente utilizzati per compiere la cessione o prestazione, prima o durante l’operazione. Dal che discende che il coinvolgimento della stabile organizzazione successivamente alla cessione o prestazione costituisce un’attività sotto questo profilo autonoma, oltre che successiva a quella già effettuata.

 

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