Occorre forse fermare la generalizzazione della inversione dell’onere probatorio in ambito tributario. Soprattutto nei casi in cui la prova contraria diviene diabolica

by admintrib

Nella Ordinanza 5 novembre 2021, n. 31931 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazone (Pres. Perrino, Rel. Galati) si accoglie un ricorso dell’amministrazione finanziaria in materia di operazioni oggettivamente inesistenti.

Pur non contenendo principi innovativi la pronuncia offre lo spunto per una riflessione sulla evidentissima compressione dei diritti di difesa del contribuente avvenuta ad opera proprio della Suprema Corte in certi ambiti, tra i quali quello dell’inesistenza oggettiva degli acquisti.

In questo caso sia la CTP che la CTR avevano rilevato il mancato svolgimento di indagini a carico della ricorrente, la formale regolarità della contabilità, la mancata prova del rientro alla acquirente di parte delle somme indicate nelle fatture, l’assenza di prova che la contribuente fosse consapevole del carosello di frode fiscale. Secondo quanto esposto nella sentenza di appello l’Ufficio avrebbe dovuto acquisire presso la contribuente, prima degli avvisi, gli elementi significativi e gli indizi idonei a dimostrare quanto presunto dalla verifica effettuata presso la società cedente (evidentemente una cartiera).

In particolare il riferimento alla frode carosello sembrava importante da approfondire in fase di accertamento. E’ noto infatti che uno dei meccanismi (forse quello più diffuso) di questo genere di frode sia proprio attraverso l’uso di una cartiera interposta tra il reale cedente e il cessionario finale. Il quale compra effettivamente merce (ecco l’esistenza oggettiva dell’operazione) ma riceve fattura da un soggetto inesistente con riferimento agli obblighi fiscali.

La Suprema Corte smonta queste sensatissime argomentazioni con il riferimento al principio di diritto secondo cui “”in tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che le operazioni commerciali oggetto di fatturazione non sono mai state poste in essere, indicando gli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altriménti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili”.

Semplificando, trovata la cartiera l’amministrazione senza muoversi dall’ufficio può imputare costi indeducibile e iva indetraibile. Al contribuente spetta la prova contraria, senza però che possa utilizzare la contabilità e senza poter fare riferimento ai reali pagamenti.

“Probatio diabolica”, quindi.

Proviamo a ridare allora qualche riferimento generale all’aspetto dell’onere probatorio.

Il primo comma dell’articolo 2697 c.c. prevede che chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Ed infatti la Corte ricorda che l’onere probatorio iniziale grava sull’Amministrazione. Che lo assolve nel caso specifico per presunzione supersemplice: se c’è una cartiera l’acquisto non è avvenuto.

Pare che al riguardo esistano due problemi con l’articolo 2729 codice civile che parla di prova per presunzioni. In primo luogo il fatto che la prova per presunzioni non sia consentita quando non è ammessa la prova testimoniale (secondo comma dell’articolo).

Questa elementare regola di garanzia è stata da tempo bypassata dalla Suprema Corte che l’ha ammessa nel giudizio tributario (in cui come è noto la prova testimoniale non è ammessa) da molto tempo al punto da costituire ormai la principale prova utilizzata negli accertamenti.

Inoltre le prove presuntive non possono essere accolte (primo comma) se non sono qualificate, cioè gravi precise e concordanti. Ma anche in questo caso la Suprema Corte ci ha detto da tempo che è sufficiente una derivazione del fatto ignoto dal fatto noto per “qualificare” la presunzione (che non capiamo bene perché sia “concordante”).

Infine nel caso di cui parliamo vale anche un altro riferimento alla prova, visto che dalla contabilità del contribuente si prendono i ricavi rettificando i costi ammessi in detrazione. L’articolo 2709 del codice civile ci dice infatti che i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore ma che tuttavia chi vuol trarne vantaggio non può scinderne il contenuto.

Anche questa regola ormai è destituita di ogni rilievo dalla Corte che anzi tiene a precisare che la contabilità non può servire a superare la presunzione anche se con essa si interviene solo sui costi e non sui ricavi e neppure serve provare il pagamento della merce.

Forse è arrivato il momento che il Massimario della Cassazione inizi un lavoro, come quello fatto più di dieci anni fa sugli accertamenti parametrici, per capire come possa stare in piedi ancora il diritto di difesa (art. 24 Cost.) di fronte a una così evidente compressione delle regole normative sulla prova in giudizio. Al limite prefigurando anche una inversione dell’onere probatorio ma con la concreta possibilità da parte del contribuente di poterlo assolvere.

In questo settore (operazioni inesistenti), ma anche nelle cessioni intracomunitarie, nella presunzione di distribuzione degli utili in società a ristretta base e in altri ancora. Ciò affinché l’idea di una Giustizia Tributaria al servizio di una sola parte non si generalizzi, come sta invece accadendo.

Altrimenti la questione va riportata in ambito legislativo o di Corte Costituzionale.

 

Articoli correlati

ilTRIBUTO.it – Associazione per l’approfondimento e la diffusione dell’informazione fiscale nasce a giugno del 2014 intorno all’idea che la materia fiscale sia oggi di fondamentale importanza e che debba essere sempre piú oggetto di studio e di critica – sempre costruttiva – da parte di persone preparate.

I prezzi dei nostri libri sono Iva 4% esclusa

RIMANI AGGIORNATO!
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

CONTATTI

+39 055 572521

info@iltributo.it

supportotecnico@iltributo.it

Seguici sui nostri social

©2023 – Associazione culturale “il tributo” Sede Legale Via dei Della Robbia, 54 – 50132 Firenze C.f. 94238970480 – P.iva 06704870481
Restyling by Carmelo Russo