Limiti alla impugnabilità del diniego di autotutela.

by Luca Mariotti

E’ assodato che l’impugnazione in giudizio del diniego di autotutela per revisione di un atto di accertamento o di riscossione sia possibile (cfr. SSUU 16778/2005). E’ altresì corretto l’orientamento giurisprudenziale che vuole che l’azione non abbia il solo fine di riaprire di fatto i termini di impugnazione dell’atto già sfumati.

L’Ordinanza 2 dicembre 2014, n. 25524 della Corte di Cassazione si colloca in questo contesto e ci ricorda i limiti di questa particolare azione in giudizio promossa dal contribuente. In particolare i Giudici affermano che il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità dei rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (cfr, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11457 del 12/05/2010).

Nel caso specifico il contribuente aveva impugnato in Cassazione la sentenza della CTR che affermava tale principio. La Cassazione rileva quindi che “Nello specifico, il giudice del merito ha fatto corretta applicazione dell’anzidetto principio, escludendo che vi fosse obbligo di adozione del provvedimento di autotutela e così evitando di dare -di fatto-ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo, ciò che avrebbe legittimato un mezzo di tutela sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non sono stati esperiti e che non sono più esperibili”

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