Legittimo il raddoppio dei termini anche se la denuncia di reato avviene a giudizio tributario in corso e non è propedeutica all’accertamento. Il raddoppio non vale però per l’IRAP

by admintrib

Nella Sentenza 24 novembre 2021, n. 36474 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Cirillo, Rel. D’Orazio) tratta della questione del raddoppio dei termini di accertamento in presenza di reati tributari che comportino l’obbligo di denuncia penale.

Infatti nel ricorso la società aveva lamentato violazione e falsa applicazione degli articoli 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nonché per erroneità (apparenza) del giudizio in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.. In particolare, la società aveva eccepito nel ricorso introduttivo che gli accertamenti notificati dall’Ufficio per gli anni 2004, 2005 e 2006 erano illegittimi in quanto notificati oltre il termine di decadenza del quarto anno successivo al termine di presentazione della dichiarazione, in assenza di presentazione della denuncia penale ex art. 331 c.p.p., da intendersi come elemento indispensabile per l’operatività della regola del “raddoppio” dei termini di accertamento ex art. 43, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, e 57, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972. Solo in grado di appello la società ha depositato l’informativa di reato ex art. 331 c.p.p., inviata dalla Guardia di Finanza alla procura della Repubblica presso il tribunale competente, con cui sono stati denunciati i reati di dichiarazione fraudolenta ex art. 3, d.lgs. n. 74 del 2000 per diverse annualità.

Per la Corte invece la sussistenza dell’obbligo di denuncia penale ex art. 331 c.p.p. emerge, non solo dalla produzione nel giudizio di appello della informativa di reato redatta dalla Guardia di Finanza e presentata presso la procura della Repubblica del tribunale di Matera, ma anche dal rinvenimento all’interno del bagagliaio dell’auto intestata alla società, della documentazione “parallela” della contribuente, che dimostrava l’inattendibilità e la non veridicità dell’intero apparato delle scritture contabili.

L’art. 3 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, prevede (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), discostandosi dall’ipotesi delittuosa di cui all’art. 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), che “fuori dei casi previsti dall’art. 2, è punito con la reclusione da un anno e 6 mesi a 6 anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente:a) l’imposta evasa è superiore con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro 77.468,53;b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque è superiore a euro 1.549.370,70”.

Il reato di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 74 del 2000 è caratterizzato da una struttura bifasica, presupponendo la compilazione e presentazione di una dichiarazione mendace nonché la realizzazione di un’attività ingannatoria prodromica, purché di quest’ultima, ove posta in essere da altri, il soggetto agente abbia consapevolezza al momento della presentazione della dichiarazione (Cass., pen., sez. 3, 15 febbraio 2019, n. 15500, depositata il 9 aprile 2019).

Il motivo di ricorso viene pertanto respinto.

Viene accolto, invece, il primo motivo di impugnazione in relazione all’Irap, in quanto per la Corte, il “raddoppio dei termini di accertamento” non opera con riferimento all’Irap, in quanto per tale imposta non sono previste sanzioni penali, sicché è evidente che, in relazione alla stessa, non può operare la disciplina del “raddoppio” dei termini quale applicabile ratione temporis (Cass., 3 maggio 2018, n. 10483; Cass., n. 20435 del 2017; Cass., n. 4775 del 2016; Cass. n. 26311 del 2017; Cass., n. 23629 del 2017).

 

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