Inderogabili i minimi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1 nella liquidazione delle spese del giudizio

by admintrib

La Seconda Sezione della Corte di Cassazione, nella Sentenza 13 aprile 2023 n. 9815 (Pres. D’Ascola, Rel. Fortunato) si esprime il relazione alla derogabilità o meno dei valori tabellari per la liquidazione delle spese del giudizio enunciando infine il seguente principio di diritto:

“In assenza di diversa convenzione tra le parti, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, a seguito delle modifiche apportate allo stesso dal D.M. n. 37 del 2018, non è dato al giudice scendere al di sotto dei valori minimi, in quanto aventi carattere inderogabile”.

Il ricorso è tutto incentrato, appunto, sulla questione della derogabilità dei valori tabellari minimi fissati per ciascuna fase processuale dal nuovo testo del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, che ora dispone che, ai fini della liquidazione del compenso, il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali possono essere aumentati di regola sino all’80 per cento, ovvero possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento. Per la fase istruttoria l’aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione in ogni caso non oltre il 70 per cento.

La L. 247 del 2012, art. 13, comma 6, rimette, com’è noto, ad un apposito decreto del Ministero della Giustizia, l’aggiornamento con cadenza biennale dei parametri medi, provvedimento da adottare d’intesa con in Consiglio nazionale forense, ai sensi dell’art. 1, comma 3, precisando che i nuovi parametri “si applicano quando all’atto dell’incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell’interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge”.

La novellata previsione dell’art. 4, comma 1, è difforme dal punto di vista letterale dalle precedenti disposizioni regolamentari, che non contemplavano un vincolo espresso in ordine alla massima riduzione applicabile, limitandosi a disporre che detta riduzione non poteva di regola essere superiore al 50%.

Sulla scorta di tale ultimo elemento testuale e alla luce del ritenuto carattere non vincolante dei parametri di liquidazione, la stessa Corte era giunta a sostenere che la quantificazione del compenso e delle spese processuali fosse espressione di un potere discrezionale riservato al giudice, e che la liquidazione, se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi, non richiedeva un’apposita motivazione e non era sottoposta al controllo di legittimità, dovendosi invece giustificare la scelta del giudice di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, fatto salvo l’obbligo di non attribuire somme simboliche, lesive del decorso professionale (Cass. 28325/2022; Cass. 14198/2022; Cass. 19989/2021; Cass. 89/2021; Cass. 10343/2020).

A tale approdo interpretativo, tuttora valido per le spese processuali e i compensi professionali regolati dal D.M. n. 55 del 2014, non può tuttavia darsi continuità anche per quelli sottoposti al regime introdotto dal D.M. n. 37 del 2018: non è più consentita la liquidazione di importi risultanti da una riduzione superiore alla percentuale massima del 50% dei parametri medi e ciò per effetto di una scelta normativa intenzionale, volta a circoscrivere il potere del giudice di quantificare il compenso – o le spese processuali- e a garantire, attraverso una limitata flessibilità del parametri tabellari, l’uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro della professione e del livello della prestazione professionale.

La suddetta ratio legis è esplicitamente evidenziata nel parere del Consiglio di Stato, Sezione Consultiva, n. 2703-2017 del 27 dicembre 2017, che aveva giudicato inadeguato, rispetto al dichiarato scopo di “limitare il perimetro di discrezionalità riconosciuto al giudice, individuando delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base al di sotto delle quali non è possibile andare, l’utilizzo di una formula normativa suscettibile di avallare “approdi interpretativi in merito all’applicazione della locuzione “di regola” anche alle riduzioni percentuali dei valori parametrici di base, mentre tale possibilità doveva più incisivamente essere limitati agli incrementi dei parametri e non alla riduzione”.

L’attuale previsione è quindi volta proprio a specificare “con maggiore chiarezza l’inderogabilità delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base da parte degli organi giudicanti, e ciò anche in considerazione del fatto che il L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 7 prevede fra i criteri cui si deve attenere l’Amministrazione quello della “trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali”.

Tale intento normativo traspare dalla dichiarata rispondenza – per esplicita valutazione normativa – dei parametri tabellari introdotti ex novo ai requisiti cui devono rispondere le liquidazioni ricadenti nell’ambito applicativo della L. 247 del 2012, art. 13 bis, introdotto dal D.L. 16 ottobre 2017, convertito nella L. 4 dicembre 2017, e poi modificata dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205.

La disposizione precisa che il compenso, nei rapporti regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento delle attività professionali in favore di imprese bancarie e assicurative, nonchè di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, si considera equo quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonchè al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, e “conforme ai parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell’art. 13, comma 6”.

Ai medesimi parametri deve far riferimento il giudice per porre rimedio alla vessatorietà delle clausole a norma dei commi 4, 5 e 6 dell’art. 13, ipotesi in cui una volta accertata, la non equità del compenso, la successiva quantificazione va effettuata proprio mediante l’impiego dei parametri tabellari per superare l’originario squilibrio dell’accordo (art. 13, comma 10).

La previsione di minimi tabellari in tema di compensi professionali non si pone in contrasto con la disciplina Euro-unitaria in tema di tutela della concorrenza, accesso al mercato, restrizioni alla libera prestazione dei servizi (art. 101, paragrafo 1, TFUE): l’ammissibilità della previsione di tariffe professionali inderogabili era stata già affermata dalla Corte di Giustizia (sentenza 19.2.2000, cause C-35 del 1999) ed è stata ripetutamente confermata anche per altri settori sempre che le tariffe siano fissate da un organismo pubblico nel rispetto dei criteri di interesse pubblico definiti dalla legge (ma la disciplina può comunque rivestire natura statale quando i membri dell’organizzazione di categoria siano esperti indipendenti dagli operatori economici interessati e siano tenuti dalla legge a fissare le tariffe prendendo in considerazione non solo gli interessi delle imprese o delle associazioni di imprese nel settore che li ha designati, ma anche l’interesse generale e gli interessi delle imprese degli altri settori o degli utenti dei servizi di cui trattasi: Corte di giustizia 427/2017; Corte di Giustizia UE 5.12.2006 C- 94/2004 e C- 202/2004; in tema di tariffe in settore dei trasporti: Corte di giustizia 9.9.2004 C-184/02 e C- 223/2002). Sono giudicate ammissibili eventuali restrizioni della concorrenza se circoscritte a quanto necessario al conseguimento di obiettivi legittimi (Corte di giustizia 427 del 2017), come pure una normativa nazionale volta a fissare una minore percentuale di riduzione (pari al 12%) rispetto a quella (pari al 50%) prevista dall’art. 4 (12%), anche se i giudici nazionali si limitino a verificare la rigorosa applicazione, senza essere in grado, in circostanze eccezionali, di derogare ai limiti fissati da tale tariffa, ciò in relazione all’art. l’art. 101 TFUE, in combinato disposto con l’art. 4, paragrafo 3, TUE (Corte di giustizia 8.12.2016, C- 532/2015 e 538/2015).

Ha da ultimo precisato la Corte di Giustizia (cfr. sentenza 427/2017) che “l’art. 101, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con l’art. 4, paragrafo 3, TUE, dev’essere interpretato per la Corte nel senso che una normativa nazionale che, da un lato, non consenta all’avvocato e al proprio cliente di pattuire un onorario d’importo inferiore al minimo stabilito da un regolamento adottato da un’organizzazione di categoria dell’ordine forense, a pena di procedimento disciplinare a carico dell’avvocato medesimo, e, dall’altro, non autorizzi il giudice a disporre la rifusione degli onorari d’importo inferiore a quello minimo, è idonea a restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno ai sensi dell’art. 101, paragrafo 1, TFUE, ma che spetta comunque al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità applicative, risponda effettivamente ad obiettivi legittimi e se le restrizioni così stabilite siano limitate a quanto necessario per garantire l’attuazione di tali legittimi obiettivi”.

Va evidenziato, al riguardo, che i nuovi parametri risultano predisposti dal CNF ma adottati dal Ministero della giustizia, previo parere del Consiglio di Stato e pertanto da un organo statale per scopi di interesse generale correlati all’esigenza di garantire la trasparenza e l’unitarietà nella determinazione dei compensi professionali.

Tali parametri non appaiono discriminatori, avendo portata generale (ex art. 15, comma 2, lettera g) Direttiva 2006/123/CE; Corte di giustizia 4.7.2019 C- 377/2017) ed inoltre l’intervento normativo lascia impregiudicata la possibilità che le parti stabiliscano un compenso inferiore a quello risultante dalla massima riduzione prevista, per cui l’introduzione dei minimi finisce per incidere in misura non sproporzionata sulle dinamiche concorrenziali tra professionisti.

I nuovi criteri rispondono inoltre all’interesse generale di introdurre una remunerazione minima in modo da non svilire la professione ed esigere anzi un livello della prestazione adeguato nell’interesse del cliente, secondo un principio ed esigenze comuni ad altri settori professionali (cfr. Corte di giustizia UE 4.7.2019 C-377/17, in tema di tariffe per gli architetti e gli ingegneri), assicurando standard di diligenza appropriati alla natura e al decoro delle attività svolte.

La censura del ricorrente è quindi fondata, avendo il Tribunale riconosciuto a titolo di spese processuali, in relazione alla valore della causa (pari all’importo della sanzione irrogata), somme inferiori a quelle risultanti dalla massima riduzione percentuale consentita dal citato D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, nel testo novellato dal D.M. n. 37/2018, e con l’attribuzione di un importo onnicomprensivo senza distinzione per fasi (Cass. 6518/2022; Cass. 23873/2021; Cass. 19482/2018; Cass. 6306/2016).

 

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