Il periodo di imposta non è frazionato a fini IRPEF per chi risiede una parte dell’anno in Italia e una parte all’estero. La tassazione è italiana sui dodici mesi se l’uscita è avvenuta oltre la metà del periodo ex art. 2, secondo comma, TUIR

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Il principale quotidiano economico nazionale ha rilanciato nei giorni scorsi una interessante Ordinanza della Sezione Tributaria: la n. 25690 depositata il 4 settembre 2023 (Pres. Napolitano, Rel. Esposito). In questa pronuncia la Suprema Corte ha escluso, nel caso di trasferimento all’estero intervenuto in corso d’anno, un’applicazione estensiva del criterio del frazionamento del periodo d’imposta, alle fattispecie in cui il testo convenzionale di riferimento non contempla espressamente tale metodo.

La questione riguardava nello specifico il trasferimento in Francia di un famoso calciatore slavo che aveva giocato nel nostro paese e che si era poi trasferito nel mese di luglio. Ciò ha determinato un caso di doppia residenza a causa delle diverse normative sulla residenza fiscale da parte dell’ordinamento di partenza (Italia) e quello di arrivo (Francia).

Secondo la Corte vale quanto previsto dall’art. 2, comma 2, t.u.i.r., ai fini delle imposte sui redditi, per il quale si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

L’art. 4, par. 1, della Convenzione Italia – Francia del 5 ottobre 1989, ratificata con l. n. 20 del 1992, stabilisce che l’espressione “residente di uno Stato” designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato, a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio di natura analoga.

Non è controverso tra le parti che il contribuente, nell’anno 2012, sia stato residente in Italia per 199 giorni, di modo che, ai sensi della normativa sopra richiamata, deve ritenersi soggetto a tassazione nello Stato italiano per l’intero anno.

Poiché il par. 1 dell’art. 4 cit. fa riferimento al concetto di residenza secondo la legislazione propria di ciascuno Stato ed essendo il contribuente per lo Stato italiano residente in Italia per l’intero periodo d’imposta, deve escludersi che possa trovare applicazione nella fattispecie in esame il successivo par. 2, il quale detta il criterio suppletivo invocato dal ricorrente nel caso in cui il contribuente sia residente in entrambi gli Stati.

L’assetto normativo sopra delineato non può peraltro essere derogato o integrato – come sostiene il ricorrente – dal paragrafo 2.10 del Commentario all’art. 4 del Modello OCSE il quale sancisce l’applicazione del principio del frazionamento del periodo d’imposta nel caso di trasferimento nel corso dell’anno, introducendo la nozione di c.d. residenza “parziale”.

Invero, il Commentario OCSE contro le doppie imposizioni non ha valore normativo e costituisce una raccomandazione diretta ai Paesi aderenti (in termini, Cass. n. 6242 del 2020), i quali, tuttavia, nel delineare la disciplina convenzionale, sono liberi di darvi attuazione. Le disposizioni contenute nel Commentario, non vincolanti ed aventi natura di soft law, fungono da strumento di indirizzo ed ausilio nell’interpretazione dell’esatto contenuto e delle finalità delle convenzioni internazionali basate sul relativo Modello (Cass., Sez. U., n. 8500 del 2021).

Nel caso di specie, tuttavia, le norme interne e convenzionali non presentano alcuno spazio interpretativo da colmare.

L’art. 24 della Convenzione Italia – Francia stabilisce che “Gli utili e gli altri redditi (revenus positifs) che provengono dall’Italia e che sono ivi imponibili conformemente alle disposizioni della Convenzione, sono parimenti imponibili in Francia allorché sono ricevuti da un residente della Francia. L’imposta italiana non è deducibile ai fini del calcolo del reddito imponibile in Francia.

Ma il beneficiario ha diritto ad un credito di imposta nei confronti dell’imposta francese nella cui base detti redditi sono inclusi”.

Sussiste dunque la possibilità per il contribuente di recuperare l’imposta versata in Italia utilizzando un credito di imposta in Francia, eliminando così il rischio di doppia imposizione.

La facoltà di avvalersi del credito d’imposta esclude in radice qualsivoglia contrasto tra la Convenzione Italia – Francia e le norme unionali sulle libertà di circolazione.

Non essendo nella fattispecie in esame ipotizzabile alcuna violazione del divieto di doppia imposizione né la ricorrenza di altri profili discriminatori, non si palesa necessario secondo i Giudici di Legittimità sollevare questione di legittimità costituzionale nè disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, come richiesto dal ricorrente.

In conclusione, il ricorso dello sportivo viene rigettato.

 

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