Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può essere disposto sui beni dell’emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture medesime, poiché il regime derogatorio previsto dall’art.9 D.L.vo n.74/2000- escludendo la configurabilità di concorso reciproco tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi se ne avvale- impedisce l’applicazione in questo caso del principio solidaristico, valido nei soli casi di illecito plurisoggettivo (Cass. sez. 3 n.42641 del 26/09/2013).
Questo principio viene enunciato dalla Corte di Cassazione, Terza Sezione penale, nella Sentenza 14 luglio 2015, n. 30168.
Abbiamo sottolineato il passaggio a nostro avviso saliente della motivazione. In realtà la Suprema Corte argomentando in modo approfondito riconosce l’ammissibilità della confisca per equivalente anche con riferimento al citato art. 8 che, ricordiamolo, sanziona chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Ma nella motivazione si evidenzia altresì come nell’ipotesi di cui al citato art. 8 non si è in presenza di un fatto di evasione consistente in un risparmio, in quanto questo non si verifica certo in capo al soggetto autore del reato; potrebbe addirittura non emergere neppure in riferimento al contribuente, qualora quest’ultimo non ponga in essere la specifica condotta di utilizzazione (Cass. n. 48104/2013).
Il riferimento dunque per questo reato non è tanto il profitto quanto il c.d. “prezzo del reato”, ovvero, dal lato dell’emittente il compenso concordato per eseguire il delitto (Cass. n. 45389/2008).