Divieto di domande nuove (art. 57 d.lgs. 546/1992): operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti attengono a fattispecie ben diverse sul piano sostanziale e probatorio

by admintrib

“Nel processo tributario d’appello l’Amministrazione finanziaria non può mutare i termini della contestazione, deducendo motivi diversi da quelli contenuti nell’atto di accertamento, in quanto il divieto di domande nuove previsto all’art. 57, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 trova applicazione anche nei confronti dell’Ufficio finanziario, al quale non è consentito, innanzi al giudice del gravame, avanzare pretese diverse, sotto il profilo del fondamento giustificativo e, dunque, sul piano della causa petendi, da quelle recepite nell’atto impositivo, altrimenti ledendosi la concreta possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di difesa attraverso l’esternazione dei motivi di ricorso, i quali, necessariamente, vanno rapportati a ciò che nell’atto stesso risulta esposto”.

Questo il principio di diritto ribadito con ordinanza n. 29431 del 10 ottobre 2022 dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Bruschetta, Rel. Federici).

Nei fatti l’Agenzia con avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2007 contestò ad una S.r.l. la detrazione dell’iva relativa a fatture emesse da una società ritenuta una società cartiera, e pertanto per operazioni considerate soggettivamente inesistenti. La CTP di Avellino accolse il ricorso della società annullando l’atto. Con l’appello l’Agenzia censurò la decisione del giudice provinciale evidenziando che alla luce delle dimostrazioni fornite si versasse in ipotesi di fatture oggettivamente fittizie. Il giudice regionale, dopo aver rigettato l’eccezione di inammissibilità del gravame, perché fondato su fatti nuovi e comunque su temi d’indagine del tutto nuovi, riconobbe le ragioni dell’ufficio. La società ricorreva dunque per cassazione denunciando la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 57 e 53, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per avere l’ufficio introdotto questioni nuove e comunque per non aver formulato motivi specifici avverso la sentenza impugnata.

Come ricordato dalla Corte per quanto attiene la contestazione delle operazioni la fattispecie riferibile alle operazioni soggettivamente inesistenti è ben diversa, sul piano sostanziale e probatorio, dalle operazioni oggettivamente inesistenti: a parte la diversa ricostruzione materiale del fenomeno fiscale perseguito (nell’uno l’esistenza dell’operazione economica in un contesto soggettivo diverso da quello apparente, nell’altro la materiale inesistenza dell’operazione) mutano radicalmente le esigenze probatorie in rapporto ai fatti e all’elemento psichico da dimostrare.

In tema IVA, ad esempio, quanto alla prova di operazioni soggettivamente inesistenti incombe sull’Amministrazione l’onere di provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza nel destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione d’imposta dimostrando che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851; 30 ottobre 2018, n. 27566; 20 luglio 2020, n. 15369); quanto invece alle operazioni oggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente (Cass., 13 marzo 2013, n. 6229; 14 settembre 2016, n. 18118; 18 ottobre 2021, n. 28628).

I Giudici di Legittimità, accolto il ricorso e cassata la sentenza, hanno dunque chiarito come “poiché con l’atto impositivo erano state contestate alla contribuente operazioni soggettivamente inesistenti, e poiché il giudice provinciale ha deciso della controversia sulla base delle argomentazioni e prove allegate in merito a quella specifica contestazione, non era dato all’Amministrazione finanziaria apprestare il proprio appello invocando la diversa fattispecie delle operazioni oggettivamente inesistenti, costituendo ciò un radicale mutamento della causa petendi delle pretese fiscali e, ancor prima, la contestazione di una fattispecie del tutto estranea a quella perimetrata nell’avviso d’accertamento”.

La Corte, in tal senso, non ha mancato di rimarcare l’errore commesso dal giudice regionale nel ritenere superabile l’inammissibilità dell’appello proposto dall’Amministrazione sull’assunto che “l’appello si fonda sempre sugli stessi fatti esposti già in primo grado, sia pure prospettati e analizzati sotto altra angolatura”.

(commento a cura del Dott. Lorenzo Tortelli)

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