Diniego alla detrazione IVA per operazioni simulate: è sempre necessario dimostrare artificiosità o fraudolenza in virtù della normativa e dei principi Unionali

by admintrib

“L’articolo 167, l’articolo 168, lettera a), l’articolo 178, lettera a), e l’articolo 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, letti alla luce dei principi di neutralità fiscale e di proporzionalità, devono essere interpretati nel senso che: essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto assolta a monte per il solo fatto che un’operazione economica imponibile è considerata simulata e viziata da nullità ai sensi delle disposizioni del diritto civile nazionale, senza che sia necessario dimostrare che sussistono gli elementi che consentono di qualificare, alla luce del diritto dell’Unione, tale operazione come simulata oppure, qualora detta operazione sia stata effettivamente realizzata, che essa trae origine da un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto o da un abuso di diritto”.

Questi, tra gli altri, i principi di diritto ribaditi con sentenza 430 del 25 maggio 2023 dalla Decima Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Nei fatti l’amministrazione tributaria polacca rimetteva in discussione il diritto alla detrazione dell’IVA di cui aveva beneficiato una società con la motivazione che l’operazione di cessione dei marchi fosse nulla in quanto simulata secondo quanto stabilito dal diritto civile nazionale (fondandosi su una disposizione della legge sull’IVA che esclude il diritto alla detrazione qualora all’operazione imponibile si applichi una norma del codice civile, secondo la quale la manifestazione di volontà simulata nei confronti dell’altra parte con il suo consenso è nulla). In seguito al ricorso proposto dalla società avverso la sentenza di primo grado il giudice del rinvio adiva la Corte del Lussemburgo rilevando come dalla Direttiva IVA risultasse che: a) un soggetto passivo non possa essere privato del suo diritto alla detrazione dell’IVA sulla base del rilievo che l’operazione di cui trattasi non sia conforme al diritto civile nazionale; b) che il diritto a detrazione costituisce parte integrante del sistema dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni; c) che l’autonomia dell’IVA rispetto alle norme del diritto civile nazionale e la neutralità dell’IVA depongono nel senso che l’invalidità di un’operazione giuridica in forza di tale normativa non dovrebbe comportare automaticamente l’esclusione del diritto a detrazione.

Come ricordato dalla Corte il diritto alla detrazione dell’IVA è subordinato al rispetto di requisiti sostanziali: a) l’interessato deve essere un «soggetto passivo»; b) i beni o i servizi invocati a fondamento del diritto alla detrazione dell’IVA devono essere impiegati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette ad imposta; c) a monte tali beni siano ceduti o tali servizi siano resi da un altro soggetto passivo.

Il diritto a detrazione è, in linea di principio, subordinato alla prova della realizzazione effettiva dell’operazione e, pertanto, in mancanza di un’effettiva realizzazione della cessione di beni o della prestazione di servizi, non può sorgere alcun diritto a detrazione; in tal senso i Giudici del Lussemburgo hanno precisato che “è inerente al meccanismo dell’IVA il fatto che un’operazione di acquisto simulata non possa dare diritto ad alcuna detrazione di tale imposta, poiché una siffatta operazione non può avere alcun collegamento con le operazioni tassate a valle” (sentenza dell’8 maggio 2019, EN.SA., C‑712/17, EU:C:2019:374).

Quindi, come precisato dai Giudici, il rifiuto di concedere ad un soggetto passivo il diritto a detrazione può essere giustificato, in primo luogo, dalla constatazione che non è stata fornita la prova dell’effettiva realizzazione dell’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione e, in secondo luogo, qualora sia dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che esso viene invocato in modo fraudolento o abusivo.

La Corte ha dunque rilevato come nel caso di specie: da un lato dalle spiegazioni fornite dal giudice del rinvio non risulta che gli elementi in base ai quali un atto giuridico può essere qualificato come simulato e quindi dichiarato nullo, ai sensi delle norme del diritto civile nazionale, coincidano con gli elementi che consentono di qualificare, alla luce del diritto dell’Unione, un’operazione economica soggetta a tale imposta come operazione simulata; dall’altro risulta che la normativa nazionale riguarda, in generale, qualsiasi situazione in cui il soggetto passivo abbia compiuto un atto giuridico considerato simulato e quindi nullo ai sensi del codice civile, senza che sia necessario dimostrare, indipendentemente dalle norme di diritto civile applicabili e alla luce di elementi oggettivi, che tale diritto è stato invocato in modo fraudolento o abusivo.

La Corte ha pertanto concluso che “prevedendo che la dichiarazione di nullità, in forza di una norma di diritto civile, di un atto giuridico considerato simulato comporti il diniego del diritto alla detrazione dell’IVA, senza che sia necessario dimostrare che sussistono gli elementi che consentono di qualificare, alla luce del diritto dell’Unione, un’operazione economica imponibile come operazione simulata oppure, qualora tale operazione sia stata effettivamente realizzata, indipendentemente dal fatto che tale diritto a detrazione sia stato esercitato in modo fraudolento o abusivo, una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario per conseguire gli obiettivi della direttiva 2006/112 volti ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni”.

 

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