Cessioni intracomunitarie “franco fabbrica”: in assenza di CMR il trasporto in altro Stato membro può essere provato con documentazione equipollente.

by AdminStudio

“Il documento di accompagnamento della merce è surrogabile anche con un documento commerciale contenente le stesse informazioni e la sua terza copia (l’esemplare che deve essere rinviato allo speditore per appuramento, cosiddetta copia di ritorno per il cedente) è idonea a comprovare, ai fini del beneficio dell’esenzione IVA, l’effettività del trasferimento della merce in altro Stato membro””.

Questo il principio di diritto ribadito con sentenza n. 8477 (Pres. Manzon, Rel. Di Hmeljak) del 28 marzo 2024 dalla Quinta Sezione della Corte di Cassazione.

Nei fatti la CTP di Pescara accoglieva parzialmente il ricorso proposto da una società di diritto tedesco avverso l’avviso di accertamento con il quale, in relazione ad alcune operazioni di cessione intracomunitaria, era stata recuperata a tassazione l’IVA per l’anno 2011: in particolare la commissione annullava l’atto limitatamente alle operazioni per le quali erano stati prodotti i CMR e i DDT. La CTR rigettava l’appello. La società ricorreva per cassazione lamentando che la CTR avesse ritenuto erroneamente applicabile alle transazioni intracomunitarie il diverso regime riguardante la prova della fuoriuscita delle merci dal territorio dello Stato, previsto per le cessioni all’esportazione (art. 8 del d.P.R. n. 633 del 1972), sebbene la disciplina delle cessioni intracomunitarie non prescriva alcuna modalità o adempimento specifico, in capo al cedente nazionale, per provare l’avvenuta consegna dei beni nello Stato membro di destinazione. Secondo la ricorrente nel caso in esame (trasporto a destinazione a carico dei clienti finali stabiliti nell’UE, che ritirano la merce presso lo stabilimento del cedente – clausola ex works o “franco fabbrica”) la mancanza del CMR firmato non avrebbe dovuto pregiudicare la dimostrazione del trasporto intracomunitario, allorché il cedente fosse in grado di fornire documentazione probatoria equipollente.

Come ricordato dalla Corte “l’onere di provare l’esistenza dei presupposti della deroga al regime della territorialità IVA è a carico del contribuente, anche in ragione del principio generale secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto, che legittimano la deroga al normale regime impositivo, è sempre a carico di chi invoca detta deroga” (Cass. 3603/2009; Cass. 15871/2016; Cass n. 10355/2022).

In tal senso l’esenzione dall’IVA della cessione intracomunitaria di un bene diviene applicabile solo quando sono soddisfatte tre condizioni: “il potere del fornitore di disporre di tale bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente, il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e, in seguito a tale spedizione o trasporto, il medesimo bene ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione” (cfr. CGUE 9 ottobre 2014, Traum; CGUE, 6 settembre 2012, Mecsek-Gabona; CGUE, 27 settembre 2007, Teleos).

Tuttavia, come evidenziato dai Giudici di Legittimità, la Direttiva 2006/112/CE e il suo Regolamento di attuazione non forniscono alcuna indicazione in ordine alle prove necessarie per dimostrare l’effettivo trasferimento della merce da uno Stato membro all’altro, né l’art. 41 del d.l. n. 331 del 1993 indica quali siano i documenti necessari per dimostrare la cessione comunitaria.

Non a caso l’Amministrazione finanziaria è intervenuta diverse volte sull’argomento: la risoluzione n. 345 del 2007 – dopo aver ricordato l’obbligo del contribuente di conservare le fatture e gli elenchi INTRASTAT – ha chiarito che, ai fini della dimostrazione dell’invio dei beni in altro Stato dell’Unione Europea, può costituire prova idonea l’esibizione del documento di trasporto da cui si evince l’uscita delle merci dal territorio dello Stato per l’inoltro ad un soggetto passivo d’imposta identificato in altro Paese comunitario; la successiva risoluzione n. 477 del 2008 ha precisato che il riferimento all’esibizione del documento di trasporto deve intendersi effettuato a titolo meramente esemplificativo chiarendo che, nei casi in cui il cedente nazionale non abbia provveduto direttamente al trasporto delle merci e non sia in grado di esibire il predetto documento di trasporto, la prova in questione potrà essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato membro; la risoluzione n. 19/E del 2013 ha esteso la valenza probatoria del documento di trasporto cartaceo anche a quello elettronico.

Del resto la questione sulla prova dell’effettività del trasporto della merce tra due operatori UE è stata affrontata anche dalla giurisprudenza unionale e di legittimità.

Nel caso di cessione intracomunitaria, “il cedente ha l’onere di dimostrare l’effettività del trasporto della merce nel territorio dello Stato in cui risiede il cessionario; in mancanza, deve emergere la sua buona fede, cioè che egli non sapesse o non avrebbe dovuto sapere che l’operazione effettuata rientrava in un’evasione posta in essere dall’acquirente e, ciò nonostante, non avesse adottato tutte le misure ragionevoli per evitare di parteciparvi” (Cass. n. 29498 del 24/12/2020; Cass. n. 26062 del 30/12/2015; Cass. n. 4636 del 26/02/2014; CGUE 6 settembre 2012, in C-273/11, Mecsek/Gabona; CGUE 17 ottobre 2019, in C-653/18, Unitel). A tal fine il contribuente “deve dimostrare di avere adottato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, valutata secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto” (Cass. n. 4045 del 12/02/2019).

In caso di vendita con clausola «franco fabbrica» il contribuente deve “fornire la prova documentale rappresentativa della effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione o di «fatti secondari», da cui desumere la presenza delle merci in un territorio diverso dallo Stato di residenza, ovvero, se la documentazione sia in possesso di terzi non collaboranti e non sia acquisibile da altri soggetti, di aver espressamente concordato, nei contratti stipulati con vettore, spedizioniere e cessionario, l’obbligo di consegna del documento e, a fronte dell’altrui inadempimento, di aver esperito ogni utile iniziativa giudiziaria” (Cass. n. 26062 del 30/12/2015; Cass. n. 4045 del 12/02/2019). Infine, è stato precisato che “nei casi in cui il cedente nazionale non abbia provveduto direttamente al trasporto delle merci e non sia in grado di esibire il predetto documento di trasporto, la prova in questione potrà essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato membro” (Cass. n. 2327 del 2/02/2021 e Cass. n. 25587 del 21/09/2021).

La Corte, accolto il ricorso, ha dunque chiarito come la CTR non si è attenuta ai superiori principi di diritto, ritenendo che l’unico documento idoneo a comprovare la cessione fosse il CMR, sebbene si trattasse di vendite con clausola “franco fabbrica”, e ha applicato alla cessione intracomunitaria il regime di prova delle esportazioni, omettendo di valutare gli altri documenti offerti in produzione dalla ricorrente.

 

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