Atto di trasferimento immobiliare in sede di separazione tra coniugi: è agevolabile ai sensi dell’art. 19 della L. 74/1987.

by Luca Mariotti

Ad onta dei criteri di “common law” che sull’errata lettura delle sentenze della Corte Costituzionale in materia di “diritto vivente” si sono incuneati nella nostra giurisprudenza, ogni tanto si assiste alla rilettura di norme di legge e alla evoluzione interpretativa delle stesse.

E’ il caso che viene considerato nella Sentenza della Corte di Cassazione n. 3110 del 17 febbraio 2016 che decide su un ricorso dell’Agenzia delle Entrate. In questione è il regime di esenzione previsto dall’art. 19 della L. n. 74/1987, per cui Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonchè ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli articoli 5 e 6 della legge 1º dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”.

Tale agevolazione non è stata applicata nel caso di cui si tratta in fase di liquidazione poiché la separazione tra i coniugi non ha determinato lo scioglimento di una comunione legale, ma il riacquisto (per gli accordi in fase di separazione) del 50% di un terreno diviso in due quote proprietarie di pari importo. L’Agenzia richiama un precedente della Sezione V, n. 15231/2001 secondo cui un atto è agevolato, in sintesi, se costituisce contenuto necessario e non eventuale degli accordi di separazione.

La Corte ritiene che il ricorso debba essere disatteso, alla stregua di una serie di considerazioni, che giustificano, a giudizio della Corte stessa, un mutamento d’indirizzo rispetto al precedente richiamato dalla difesa erariale a sostegno del ricorso proposto, ciò non solo in virtù di una rivalutazione critica di talune argomentazioni ivi espresse, nonché  alla stregua del mutato quadro normativo di riferimento che, nel contesto di un’evoluzione verosimilmente non ancora del tutto conclusa, ha fortemente valorizzato la centralità dell’accordo tra le parti nella definizione della crisi coniugale.

In particolare viene posto l’accento sulla (letteralmente) “degiurisdizionalizzazione” degli accordi di separazione. Elemento, tra gli altri, che induce la Corte a ritenere che, nel mutato contesto normativo di riferimento, debba riconoscersi il carattere di negoziazione globale a tutti gli accordi di separazione che, anche attraverso la previsione di trasferimenti mobiliari o immobiliari, siano volti a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale, destinata a sfociare, di lì a breve, nella cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o nello scioglimento del matrimonio civile, cioè in un divorzio non solo prefigurato, ma voluto dalle parti, in presenza delle necessarie condizioni di legge.

Ci permettiamo di osservare che il quadro mutato, asseritamente normativo, appare essere invece legato ad un più ampio contesto sociale (certamente diverso dal 2001 ad oggi), nonché, fondamentale, quello di una più attenta valorizzazione dell’aspetto sostanziale dell’agevolazione de quo.

Lo “stare decisis” va bene, insomma, ma il Giudice è soggetto solo alla Legge e non alla giurisprudenza di altri giudici, pena ledere il diritto di difesa costituzionalmente garantito. Ogni orientamento può essere rivisto, Sezioni Unite incluse. Con buona pace di chi in un’ordinanza pochi giorni fa  (la n. 2584 del 9 febbraio) ha asserito che la mancata considerazione da parte del ricorrente della giurisprudenza consolidata avrebbe come conseguenza la responsabilità aggravata di cui all’articolo 96 del Codice di procedura civile.

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