Ammissione al passivo fallimentare dei crediti tributari: non è sufficiente l’estratto di ruolo. Non è infatti possibile ammettere un credito sulla base di un titolo non impugnabile.

by AdminStudio

Interessante la motivazione del Decreto emesso il 7 novembre 2023 dal Tribunale Di Nola, Seconda Sezione Civile, Ufficio Procedure Concorsuali.

La questione riguardava nel caso specifico un ricorso di Agenzia Entrate Riscossione con controparte una procedura fallimentare.

In sostanza a fronte della domanda di ammissione al passivo, chiedendo l’ammissione al passivo della somma di Euro 640.958,24, di cui Euro 591.497,43 in privilegio ed Euro 49.460,81 in chirografo, il curatore proponeva l’ammissione parziale del credito.

In particolare, il curatore proponeva la non ammissione dell’importo portato da due cartelle di pagamento “mancando la prova dell’invio della raccomandata informativa per il perfezionamento della notifica”.

Il giudice delegato ammetteva il credito come da proposta del curatore e pertanto non ammetteva gli importi portati dalle due cartelle di pagamento summenzionate.

Per il Tribunale di Nola, l’orientamento di legittimità richiamato dalla opponente Agenzia, secondo il quale, ai fini dell’ammissione al passivo dei crediti di natura tributaria o previdenziale, è sufficiente la produzione dell’estratto di ruolo e non occorre la notificazione della cartella di pagamento o dell’avviso di addebito, è da ritenersi superato, con riguardo ai debiti tributari, dal più recente orientamento della Suprema Corte, secondo il quale “Ai fini dell’ammissione allo stato passivo del fallimento dei crediti tributari azionati dall’agente della riscossione non è sufficiente depositare, in sede di verifica, il semplice estratto di ruolo, invero neppure impugnabile in ragione del sopravvenuto art. 3 bis D.L. 21 ottobre 2021, n. 146; è, per converso, condizione imprescindibile la produzione in giudizio della cartella di pagamento” (Cass. 31560/2022).

Infatti, siccome l’estratto di ruolo non è autonomamente impugnabile e il ruolo e la cartella non notificata o invalidamente notificata sono impugnabili solo a determinate condizioni, in virtù del nuovo comma 4-bis dell’art. 12 D.P.R. n. 602 del 1973, introdotto dall’art. 3 bis D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, conv. in L. n. 215 del 2021 (“L’estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al D.M. dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”) – norma che si applica anche ai processi in corso (si veda Cass. SU 26283/2022)-, il ruolo e l’estratto di ruolo non possono più essere sufficienti per l’ammissione al passivo del credito tributario.

Non è infatti possibile ammettere al passivo un credito erariale sulla base di un titolo non impugnabile (nel caso di specie l’estratto di ruolo) in quanto, diversamente opinando, sarebbe preclusa al curatore e/o al debitore fallito qualsiasi possibilità di contestare la fondatezza della pretesa tributaria. Al riguardo, va ricordato che le contestazioni relative a pretese non tributarie (specialmente di natura previdenziale) possono essere proposte in sede di esame dello stato passivo e possono essere decise dal giudice delegato o dal Collegio in sede di impugnazione. Nessuna lesione del diritto di difesa si verifica in tal caso.

Invece, in caso di pretese di natura tributaria, occorre effettuare una distinzione. Ove in sede di esame dello stato passivo vengano sollevate contestazioni e, in particolare, siano fatti valere fatti impeditivi, modificativi o estintivi, quali la prescrizione, l’intervenuto pagamento, la compensazione, maturati successivamente alla notifica della cartella di pagamento, che segna il consolidamento della pretesa fiscale e l’esaurimento del potere impositivo, tali fatti possono essere conosciuti e oggetto di decisione del giudice delegato e del Tribunale. In tal senso si è espressa la Suprema Corte, secondo la quale “L’eccezione di prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento, sollevata dal curatore in sede di ammissione al passivo fallimentare, è devoluta alla cognizione del giudice delegato (in sede di verifica dei crediti) e del tribunale (in sede di opposizione allo stato passivo e di insinuazione tardiva), e non già del giudice tributario, segnando la notifica della cartella il consolidamento della pretesa fiscale e l’esaurimento del potere impositivo” (Cass. 34447/2019). Viceversa, nel caso in cui in sede di esame dello stato passivo siano fatti valere fatti impeditivi, modificati o estintivi maturati precedentemente alla notifica della cartella di pagamento (come la prescrizione maturata prima della notifica della cartella di pagamento), occorre procedere con l’ammissione con riserva ex art. 88 D.P.R. n. 602 del 1973, per consentire la proposizione del giudizio tributario, in quanto il giudice delegato e il Tribunale ordinario non hanno giurisdizione in tali controversie che riguardano le imposte e le tasse di qualsiasi genere. Tuttavia, in mancanza di notificazione della cartella di pagamento, tale ammissione con riserva non avrebbe alcun senso in quanto il curatore non potrebbe avviare un contenzioso tributario e non potrebbe in nessun modo far valere l’infondatezza della pretesa tributaria. Ne deriva che ai fini dell’ammissione al passivo delle pretese di natura tributaria occorre la notifica della relativa cartella di pagamento.

Quindi l’opposizione viene integralmente rigettata.

La pronuncia, pienamente condivisibile, appare una normale conseguenza di una evidentissima lesione del diritto di difesa di una norma (il nuovo comma 4-bis dell’art. 12 D.P.R. n. 602 del 1973, introdotto dall’art. 3 bis D.L. 21 ottobre 2021) che la stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto aver inciso negativamente “sull’ampiezza della tutela giurisdizionale” (Sentenza n. 190 del 17 ottobre 2023).

E inevitabilmente le incrinature al normale assetto delle tutele va ad impattare in altri ambiti dell’ordinamento. Urgente (e non solo auspicabile come nelle elaborazioni della Consulta) ci sembra la necessità dell’intervento del Legislatore.

 

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