Termine di 90 giorni per le esportazioni indirette: condizioni per la non imponibilità.

by Luca Mariotti

L’art. 8, comma 1, lettera b), D.P.R. n. 633/1972, prevede che Costituiscono cessioni all’esportazione non imponibili (…)e cessioni con trasporto o spedizione fuori del territorio  della Comunità economica europea entro novanta giorni dalla consegna, a cura  del cessionario non residente o per suo conto (ad eccezione di dotazioni di bordo e bagagli personali).

L’art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997, rubricato “Violazioni relative alle esportazioni” prevede letteralmente “Chi effettua cessioni  di  beni  senza  addebito  d’imposta,  ai  sensi dell’articolo 8, primo comma, lettera b), del decreto del  Presidente  della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, relativo alle cessioni all’esportazione, è punito con la sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento del tributo,  qualora  il  trasporto  o  la  spedizione  fuori  del   territorio dell’Unione europea non avvenga nel termine ivi prescritto. La sanzione  non si  applica  se,  nei  trenta  giorni  successivi,  viene  eseguito,  previa regolarizzazione della fattura, il versamento dell’imposta”.

Quindi ad oggi se si vende in condizione di non imponibilità un bene e non si ottempera alla condizione di trasportarlo o spedirlo nei 90 giorni successivi bisogna regolarizzare l’operazione con il versamento iva. Se si omette di farlo c’è la sanzione di cui sopra.

In questo scenario si è introdotta la sentenza “BDV Hungary Trading Kft.” della Corte di Giustizia UE del 19 dicembre 2013, causa C-563/12. Nel valutare la normativa ungherese in rapporto alla direttiva 2006/112  è pertanto consentito agli Stati membri stabilire un termine ragionevole per le esportazioni, che tenga conto delle pratiche commerciali nell’ambito delle esportazioni negli Stati terzi, al fine di verificare se un bene oggetto di una cessione all’esportazione sia effettivamente uscito dall’Unione” e “imporre al venditore di un bene destinato all’esportazione un termine preciso entro il quale tale bene deve aver lasciato il territorio doganale dell’Unione costituisce un mezzo appropriato a tal fine”.

La Corte ha ammesso la presenza di un termine per controllare se un bene oggetto di una cessione all’esportazione sia effettivamente uscito dal territorio comunitario (la normativa ungherese prevede 90 giorni come quella italiana).

Tuttavia ha ritenuto in contrasto con gli articoli 146, paragrafo 1, e 131 della direttiva 2006/112 una normativa nazionale secondo la quale, nell’ambito di una cessione all’esportazione, i beni destinati ad essere esportati al di fuori dell’Unione devono aver lasciato il territorio dell’Unione entro un termine prestabilito di tre mesi o di 90 giorni successivi alla data di cessione, qualora il semplice superamento di tale termine abbia la conseguenza di privare definitivamente il soggetto passivo dell’esenzione riguardo a tale cessione.

Questo perché se la regola è posta senza consentire al soggetto passivo di dimostrare, al fine di beneficiare di tale esenzione, che la condizione di uscita è stata soddisfatta dopo lo scadere del termine di legge, e senza prevedere un diritto del soggetto passivo al rimborso dell’IVA già corrisposta in ragione del non rispetto del termine, qualora fornisca la prova che la merce ha lasciato il territorio doganale dell’Unione, eccede quanto necessario per il conseguimento dell’obiettivo di contrasto all’evasione e all’elusione, quindi contrasta con il  principio di proporzionalità.

Su questa questione è stata presentata un’istanza di interpello cui l’Agenzia ha risposto con la Risoluzione n. 98/E del 10 novembre 2014.

Secondo l’Agenzia l’art. 8, comma 1, lettera b), D.P.R. n. 633 del 1972 non contrasta con la Direttiva. Non è, invece, in linea con la decisione della Corte di giustizia UE la soluzione di negare il beneficio della non imponibilità, nonostante sia possibile dimostrare l’uscita dei beni dal territorio doganale dell’Unione, seppure dopo lo scadere del predetto termine, e di non consentire il recupero dell’IVA corrisposta in sede di regolarizzazione.

Pertanto, prendendo atto dell’indirizzo della Corte europea, l’Agenzia conclude che il regime di non imponibilità si applica a) quando il bene sia stato esportato entro i 90 giorni, ma il cedente ne acquisisca la prova oltre il termine dei 30 giorni previsto per eseguire la regolarizzazione, b) quando il bene esca dal territorio comunitario dopo il decorso del termine di 90 giorni se viene acquisita la prova dell’avvenuta esportazione. Sarà eventualmente possibile recuperare l’IVA nel frattempo versata ai sensi dell’art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 471 del 1997, attraverso l’emissione di una nota di variazione ex art. 26, comma 2, del decreto IVA, entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al secondo anno successivo a quello in cui è avvenuta l’esportazione. In alternativa si potrà chiedere rimborso con la procedura dell’art. 21 del D.Lgs. 546/92.

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