Soggetta a imposta fissa di registro la risoluzione parziale di un contratto anche se le prestazioni previste rientrano in ambito IVA

by admintrib

Gli atti giudiziari che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, o la risoluzione di un contratto, anche quando la dichiarazione di nullità riguardi singole clausole ex art. 1419, comma 2, cod. civ., senza investire l’intero contratto, che sopravvive tra le parti con la sostituzione della disciplina legale alle clausole nulle (nella vicenda in disamina, la sentenza che accerti la nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori in relazione a contratti bancari e condanni la banca alla restituzione delle somme indebitamente riscosse a tale titolo in favore del cliente), sono soggetti ad imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, essendo irrilevante che essi riguardino corrispettivi o prestazioni soggetti ad IVA, non trovando applicazione alla ripetizione di indebito oggettivo (art. 2033 cod. civ.) il principio di alternatività di cui all’art. 40 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131. Per cui, non può trovare applicazione l’art. 8, comma 1, lett. b), della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, il quale postula la fisiologica validità (in toto et in qualibet parte) del contratto originante le obbligazioni per le quali si chiede al giudice di pronunciare la condanna al pagamento o alla consegna.

Questo il principio di diritto declinato dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nella Sentenza n. 25610 depositata il 31 agosto 2022 (Pres. Stalla, Rel. Lo Sardo).

L’Agenzia delle Entrate aveva nel caso specifico emesso un avviso di liquidazione in relazione alla registrazione di una sentenza depositata dal Tribunale di Avezzano, che, dopo aver dichiarato la nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori (c.d. “anatocismo”) in relazione a contratti di apertura di credito in conto corrente, di conto corrente bancario e di sconto aveva condannato la banca al pagamento della somma di € 1.141.386,64, a titolo di ripetizione di indebito, oltre ad interessi in misura legale con decorrenza dalla domanda fino al soddisfo, in favore della società vittoriosa.

Nelle tesi dell’Agenzia delle Entrate ricorrente, l’art. 37, comma 1, del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 prevede che sono soggetti ad imposta di registro «gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere», l’art. 8, comma 1, lett. b) e lett. e), della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 stabiliscono la soggezione, rispettivamente, ad imposta in misura proporzionale del 3% per i provvedimenti « recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura» e ad imposta in misura fissa per i provvedimenti «che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, o la risoluzione di un contratto». Peraltro, la nota II al citato art. 8 della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 precisa che: «Gli atti di cui al comma 1, lettera b), (…) non sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del testo unico».

Di conseguenza secondo la prospettazione della ricorrente, «la mera affermazione, in motivazione, della nullità di una clausola contrattuale (…)» non giustificherebbe «la sussunzione della fattispecie nella lett. e)» dell’art. 8, comma 1, della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, trattandosi di disposizione applicabile soltanto in caso di dichiarazione di nullità (totale) del contratto (art. 1418 cod. civ.) e non anche in caso di dichiarazione di nullità (parziale) di singole clausole (art. 1419 cod. civ.).

Per la Corte è evidente come la parte vittoriosa in sede civile abbia di fatto esercitato l’esercizio cumulativo (art. 104 cod, proc. civ.) dell’azione di nullità parziale dei contratti bancari (art.1419 cod. civ.) e dell’azione di ripetizione dell’indebito (art.2033 cod. civ.). Difatti, è pacifico che il correntista, che agisce in ripetizione, può limitare la propria pretesa a un dato periodo di svolgimento del conto, e così anche fare seguire alla richiesta di accertamento della nullità di determinate clausole, come inerenti al contratto stipulato tra banca e cliente, una domanda di ripetizione che venga a circoscrivere il proprio raggio di azione alle somme percepite dalla banca, in dipendenza di quelle clausole, nell’ambito di un determinato periodo di svolgimento del conto (in termini: Cass., Sez. 6^-1, 4 marzo 2021, n. 5887).

Quindi, come da tempo affermato dalla consolidata giurisprudenza della Corte, non vi è alcuna differenza tra l’azione di nullità parziale e l’azione di nullità totale del contratto sul piano della giustificazione e dell’efficacia della pronunzia giudiziale, essendo comune la funzione di conformare secundum legem la regolamentazione dei rapporti tra le parti mediante la reciproca restituzione delle prestazioni o delle attribuzioni sine titulo.

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate viene pertanto respinto con condanna alle spese.

 

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