Società di comodo: illegittimo il recupero direttamente in cartella.

by Luca Mariotti

la maggiore imposta derivante dall’applicazione dei redditi minimi previsti per le società di comodo, una volta che il contribuente, nella dichiarazione presentata, non risulti in linea con il cosiddetto “test di operatività”.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la Sentenza 21 giugno 2016 n. 12777 della V Sezione (Presidente Virgilio, Relatore Iannello).

Nel caso specifico l’Ufficio aveva iscritto a ruolo la maggiore imposta avendo in pratica reperito tutti gli elementi per determinarla direttamente in dichiarazione. Quindi si era trattato, dal punto di vista dell’amministrazione, di una mera operazione di liquidazione.

Persi i primi due gradi di giudizio l’Agenzia si duole in Cassazione di non aver commesso alcuna irregolarità nella procedura seguita. Infatti, secondo la ricorrente, nessun atto è stato omesso liquidando l’imposta da dichiarazione in quanto  “ove si intenda far riferimento alla comunicazione di irregolarità prevista dall’art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per il caso di liquidazione automatizzata, rileva che la stessa non è prescritta a pena di nullità; ove invece si intenda far riferimento alla previsione di cui all’art. 30, comma 4, legge 23 dicembre 1994, n. 724 (invito a fornire i chiarimenti) osserva che tale adempimento riguarda il solo caso in cui occorra procedere a preventivo accertamento”.

Inoltre, sempre secondo l’Agenzia, la CTR sarebbe incorsa in violazione e falsa applicazione dell’art. 30 legge 23 dicembre 1994, n. 724, stabilendo che la citata disposizione non consentirebbe di iscrivere direttamente a ruolo l’imposta dovuta dalle società di comodo, in base al reddito presuntivamente determinato ai sensi del precedente terzo comma, ma imporrebbe di procedere sempre ad accertamento.

Secondo la Corte nel caso specifico il fondamento sostanziale della pretesa impositiva (ossia, l’applicabilità nel caso di specie della disciplina sulle società non operative, o “di comodo”, e della conseguente presunzione di reddito imponibile minimo) va esplicitato anche nel caso in cui la pretesa medesima sia fondata, ai sensi dell’art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sui dati dichiarati dalla stessa contribuente nella dichiarazione dei redditi da essa presentata.

Quindi il contribuente ha impugnato legittimamente il primo atto impositivo (la cartella). Essa è infatti contestabile, ex art. 19 d.P.R. n. 546 del 1992, anche relativamente al merito della pretesa impositiva in un caso come quello in questione.

Ebbene tale ipotesi, alla stregua di ogni altra nella quale il contribuente contesti la fondatezza della pretesa impositiva, vede l’amministrazione gravata dell’onere di provare la sussistenza dei relativi presupposti.

Onere che la C.T.R., secondo la Corte, ha ritenuto, evidentemente (e legittimamente) non assolto.

 

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