Procedure di collaborazione volontaria: dovuto il rimborso delle imposte pagate all’estero in forma di “euroritenuta”. Smentita dalla Cassazione la prassi dell’Agenzia delle Entrate

by admintrib

“In applicazione della normativa comunitaria (art.14 della direttiva 2003/48/CE, come recepita nell’ordinamento italiano dall’art.10, d.lgs. del 18 aprile 2005, n.84, attuativo della citata direttiva, che costituisce disciplina normativa speciale prevalente su quella interna), deve riconoscersi il diritto al rimborso dell’euroritenuta pagata all’estero sugli interessi relativi a disponibilità finanziarie detenute su conto corrente presso una banca svizzera da un soggetto fiscalmente residente in Italia, che abbia aderito alla procedura di “collaborazione volontaria”, la quale consente al contribuente, mediante una dichiarazione confessoria spontanea, di regolarizzare plurimi anni di imposta relativamente a tali interessi, usufruendo di un trattamento sanzionatorio più favorevole”

Questo il principio di diritto enunciato nella Sentenza 12 gennaio 2023, n. 804 della quinta sezione della Corte di Cassazione (Pres. Cirillo, Rel. Giudicepietro) dopo una esposizione dettagliata e rigorosa delle ragioni che hanno indotto i Giudici di Legittimità ad accogliere le ragioni della contribuente.

La CTR della Lombardia al riguardo aveva ritenuto che, in applicazione dell’art. 165, comma 8, T.u.i.r., il rimborso dell’Euroritenuta non fosse consentito in caso di collaborazione volontaria e di ravvedimento operoso e che, comunque, fosse tardiva la richiesta di rimborso della contribuente, presentata in data 30/12/2016, per le somme trattenute anteriormente al 30/12/2012, ex art.38 d.P.R. n.600/1973.

Il problema che la Corte era chiamata a dirimere è quello relativo alla possibilità per i contribuenti di scomputare dall’imposta dovuta le eventuali imposte pagate all’estero sugli stessi redditi oggetto della procedura di “collaborazione volontaria”.

Nel nostro ordinamento, per evitare le doppie imposizioni sui rediti prodotti all’estero da soggetti residenti, il primo comma dell’art. 165 del T.u.i.r. riconosce il credito d’imposta qualora ricorrano congiuntamente le tre seguenti condizioni: 1) la produzione di un reddito all’estero, 2) il concorso del reddito prodotto all’estero alla formazione del reddito complessivo in Italia ed, infine, 3) il pagamento di imposte estere a titolo definitivo.

Sono escluse dalla formazione della base imponibile ed esonerate dall’obbligo di dichiarazione alcune ipotesi reddituali tassativamente previste, tra cui i rediti sottoposti a ritenuta d’imposta o imposta sostitutiva, per i quali gli obblighi tributari risultino già assolti al momento della dichiarazione. Dunque, in relazione ai redditi esteri, assoggettati in Italia a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o d’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, viene esclusa la spettanza del credito d’imposta per le imposte assolte.

In tali ipotesi può verificarsi una doppia imposizione del reddito transnazionale, alla quale il contribuente può sottrarsi quando gli è concessa la facoltà di rinunciare al regime di tassazione sostitutiva, facendo concorrere il reddito estero alla formazione del proprio reddito imponibile (come nel caso dei redditi di capitale erogati da soggetti non residenti e percepiti all’estero, ai sensi dell’art.18, comma 1, T.u.i.r.).

La necessità del concorso del reddito estero alla formazione del reddito complessivo trova riscontro nel comma 8 dell’art. 165 citato, il quale prevede che «la detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata».

Nel caso della voluntary disclosure, l’amministrazione ricorrente esclude la possibilità di recupero degli esborsi sostenuti all’estero dai contribuenti, rilevando che i rimedi alla doppia imposizione seguono i modelli della esenzione e del credito d’imposta previsti dall’art.165 T.u.i.r. e, dunque, non sono compatibili con la specifica procedura della collaborazione volontaria, poichè il modello del credito d’imposta si paleserebbe ostacolato dal fatto che le imposte sostitutive e le ritenute assolte all’estero non risultano correlate a redditi esposti in una dichiarazione fiscale, come richiesto dall’art. 165, comma 8, T.u.i.r. In tal senso depone la circolare n.9/E del 5 marzo 2015, con cui l’Agenzia delle entrate ha negato la possibilità del riconoscimento del credito d’imposta in sede di voluntary disclosure, in quanto lo stesso è subordinato all’esposizione in dichiarazione. La citata circolare specifica che < Il comma 8 dell’articolo 165 del T.u.i.r. nega il diritto alla detrazione delle imposte pagate all’estero in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero. In base a tale disposizione, il contribuente non può fruire del credito di cui all’articolo 165 del T.u.i.r. qualora la dichiarazione relativa all’annualità oggetto di controllo sia omessa o il reddito estero non sia stato dichiarato>>. Tuttavia, con la medesima circolare, l’Agenzia delle entrate ha precisato che è consentito usufruire del credito di imposta per le imposte assolte all’estero in caso di omessa indicazione del reddito estero nell’ambito di una dichiarazione considerata valida e che la violazione compiuta può essere sanata mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa a sfavore, entro i termini di cui all’art.2, comma 8, d.P.R. 22 luglio 1998, n.322. A conferma della generale applicabilità della causa di esclusione della spettanza del credito di imposta prevista dall’art.165 comma 8 Tuir, l’Agenzia delle entrate sottolinea che l’art. 5 octies, comma 1, lett.a bis), del d.l. n. 167 del 1990, introdotto dall’art. 1 ter, comma 1, lett.a), del d.l. n.50 del 2017, ha stabilito che l’art. 165, comma 8, citato, non si applica nei soli casi di redditi prodotti all’estero e non indicati nella dichiarazione dei redditi appartenenti alla categoria dei redditi di lavoro dipendente od autonomo. Inoltre l’art. 1, comma 2, del citato d.l. n.50 del 2017 stabilisce che “in ogni caso non si fa luogo al rimborso delle imposte già pagate” (come nel caso di specie in cui si chiede il rimborso di imposte già versate). Tutto quanto fin qui esposto è stato, da ultimo, ribadito dall’ufficio anche con la più recente Circolare n. 21/E del 20/07/2017, che illustra le ultime novità normative in materia, stante la riapertura dei termini della procedura di collaborazione volontaria in un intervallo temporale che va dal 24 ottobre 2016 al 31 luglio 2017.

Nel caso di specie, la contribuente, che ha effettuato la voluntary disclosure, chiedeva il rimborso dell’euroritenuta, che era già stata in precedenza versata e certificata dall’Istituto di credito estero, quale sostituto d’imposta, per le annualità oggetto della procedura di collaborazione volontaria.

La specifica normativa in tema di voluntary disclosure e la disciplina dell’art.165 T.u.i.r., dunque, vanno coordinati, secondo la Corte, con la direttiva 2003/48/CE del Consiglio dell’Unione Europea del 3 giugno 2003, recepita in Italia dal d.lgs. 18 aprile 2005, n.84, che ha disciplinato l’euroritenuta.

Ebbene, per i Giudici della Sezione Tributaria, nei “considerando” e negli articoli della direttiva non si coglie alcuna distinzione tra imposizione diretta ordinaria, sostitutiva o speciale, il che si spiega proprio con l’intento di armonizzare in qualche modo un settore, quello dell’emersione dei redditi trans- frontalieri, rispetto una imposizione diretta assai variegata tra i paesi UE. Ciò si estende anche ai paesi a fiscalità “preferenziale” come la Svizzera (24°considerando), a sua volta paese “accordista” con UE e Italia, senza che le relative fonti bilaterali facciano alcuna eccezione, il che non consente l’introduzione “pretoria” di alcuna distinzione, attese le rigorose regole interpretative dettate dalla convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (in particolare art. 31, §1; vedi 2019/30347, conf. 2019/10706, §1.10, e 2016/23984, in motivazione). Se è vero che l’art.11 della direttiva riconosce il diritto al rimborso delle imposte assolte all’estero “secondo la legislazione nazionale”, il riferimento deve intendersi a regole procedimentali interne, non discriminatorie e non eccessive, non potendo la regola interna escludere in tutto il diritto al rimborso, come a configurare una sanzione indiretta, non rispondente a princìpi di adeguatezza e proporzionalità. Dunque, il fatto che la dichiarazione contra se del contribuente avvenga nell’ambito di una procedura di collaborazione volontaria, prevista da una normativa speciale ed agevolativa, che consente al contribuente di regolarizzare plurimi anni di imposta, usufruendo di un trattamento sanzionatorio più favorevole, non esclude a priori il rimborso della ritenuta pagata all’estero

 

 

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