Per la Cassazione l’unico valore rilevante ai fini dell’obbligazione doganale (e dell’iva all’importazione) è il valore in dogana che di norma coincide col valore di transazione

by admintrib

L’Ordinanza 5 maggio 2023 n. 11812 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Manzon, Rel. Succio) accoglie il ricorso di una società che aveva importato ombrelli dalla Cina e che si era vista rettificare il valore dichiarato in dogana al momento dell’importazione.

La CTR aveva accolto l’appello dell’Ufficio, soccombente in primo grado, ritenendo giustificati fondati dubbi espressi di determinazione del valore doganale, talmente basso da non corrispondere al reale valore della merce. Il giudice dell’appello aveva poi ritenuto corretta la ricostruzione del valore poiché la società non ha contestata l’applicazione di criteri per la determinazione dei costi sostenuti da imprese italiane, risultando dal verbale di verifica dell’Agenzia delle Dogane, anzi, l’applicazione di criteri di costo per manodopera spese energia elettrica materiali di scarsa qualità e altri oneri di funzione come determinati in Cina.

La Corte ricorda che nella sentenza n. 23245 del 2018, era stato già chiarito che l’unico valore rilevante ai fini dell’obbligazione doganale è il valore in dogana; il valore in dogana di norma coincide col valore di transazione, ossia col prezzo effettivamente pagato o da pagare (CGUE sent. 12 dicembre 2013, causa C116/12, Christodoulou e a., punto 28). Una tale disciplina ha una ben precisa ratio: la normativa unionale in tema di valutazione doganale mira a stabilire un sistema equo, uniforme e neutro, che esclude l’impiego di valori in dogana arbitrari o fittizi (tra varie, CGUE in causa C-116/12, cit., punto 44; 20 dicembre 2017, causa C- 529/16, HannamatsuPhotonics Deutschland GmbH c. Hauptzollamt Munchen; 15 luglio 2010, Gaston Schul, causa C-354/09, punto 27; 28 febbraio 2008, causa C-263/06, Carboni e derivati Srl , punto 60) e tanto risponde altresì alle necessità di certezza della prassi commerciale. Il che spiega perchè il codice doganale comunitario abbia stabilito con gli artt. 29, 30 e 31 già citati una rigida sequenza di regole di determinazione del valore doganale e perchè il regolamento attuativo del codice abbia predisposto una apposita disciplina, regolata dall’art. 181-bis, secondo il quale qualora le autorità doganali abbiano “fondati dubbi che il valore dichiarato rappresenti l’importo totale pagato o da pagare ai sensi dell’art. 29 codice doganale” (Cass. 4 aprile 2013, n. 8323; 13 settembre 2013, n. 20931), in questo caso, per potersi discostare dalla regola del valore di transazione, l’autorità doganale deve chiedere informazioni complementari e sollecitare il contraddittorio prima di decidere di non determinare il valore in dogana delle merci importate in base alla regola generale fissata dall’art. 29 ricitato.

Solo quando il valore in dogana non possa essere determinato mediante ricorso al valore di transazione delle merci importate, la valutazione doganale si dovrà attenere alle disposizioni dell’art. 30 codice, applicando, in sequenza, i metodi previsti alle lettere da a) a d) del paragrafo 2 di quest’ultimo articolo (CGUE in causa C-116/12, cit., punto 41). E soltanto quando non sia possibile determinare il valore in dogana delle merci importate neppure sulla base dell’art. 30 del codice doganale, si opererà la valutazione in dogana conformemente alle disposizioni dell’art. 31 di tale codice (CGUE, in causa C-116/12, punto 42). In definitiva, i criteri di determinazione del valore in dogana devono essere applicati in base sì agli artt. 29, 30 e 31 codice doganale comunitario, ma pur sempre rispettando il nesso di sussidiarietà tra essi esistente: soltanto quando il valore in dogana non possa essere determinato applicando la disposizione precedente, si deve far riferimento a quella immediatamente successiva secondo l’ordine stabilito dal codice (CGUE in causa C-116/12, punto 43).

In concreto, il valore di transazione resta il metodo prioritario di determinazione in quanto è considerato il più adatto ed il più frequentemente utilizzato. Per disattenderlo, occorre che: a) l’Amministrazione abbia fondati dubbi che esso sia inattendibile; b) i dubbi persistano, anche dopo una richiesta di ulteriori informazioni o complementi di documentazione e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali sono fondati tali dubbi; c) l’Amministrazione ricorra in primo luogo ai metodi di valutazione immediatamente sussidiari, ossia a quelli stabiliti dall’art. 30 codice doganale comunitario, in successione; pertanto, nel caso di fondati dubbi da parte dell’Amministrazione doganale della corrispondenza tra il valore dichiarato e l’importo totale pagato o da pagare ex art. 29 C.D.C., la medesima Amministrazione – dopo la richiesta di informazioni complementari e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali siano fondati tali dubbi, in ossequio della specifica garanzia procedurale di cui all’art. 181-bis, paragrafo 2, del Reg. CEE n. 2454 del 1993 – è tenuta a dimostrare, con onere probatorio a proprio carico, di avere applicato, nella rideterminazione del valore in dogana, i metodi immediatamente sussidiari di cui agli artt. 30 e 31 del codice doganale, secondo la rigida sequenza ivi prevista in successione ovvero è tenuta a dare conto delle ragioni per cui il rispetto del detto ordine previsto dal codice doganale comunitario non sia stato possibile.

Ancora, si è precisato che (in termini si veda Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2214 del 25/01/2019) in tema di diritti doganali, nel caso di fondati dubbi sulla corrispondenza tra il valore dichiarato e l’importo totale pagato o da pagare ai sensi dell’art. 29 codice doganale comunitario (Regolamento CEE n. 2913/1992), l’Amministrazione – sempre dopo aver chiesto informazioni complementari all’interessato e consentito allo stesso di interloquire rispetto ai motivi sui quali siano fondati tali dubbi – ha l’onere di dimostrare di avere applicato, nella rideterminazione del valore in dogana, i metodi immediatamente sussidiari di cui agli artt. 30 e 31 cit. codice doganale, secondo la rigida sequenza ivi prevista in successione, ovvero di indicare le ragioni per le quali il rispetto di tale ordine non sia stato possibile.

Nello specifico caso è allora in primo luogo erronea l’affermazione della CTR secondo la quale la determinazione del valore sarebbe avvenuta facendo riferimento ai parametri di costo applicati in Italia e non in Cina, luogo di origine della merce, senza che la società contribuente contestasse tale riferimento; dalle trascrizioni operate in ricorso per cassazione si evince invero il contrario. Sotto questo profilo, in realtà, sussisteva una espressa contestazione in ordine a tale profilo che onerava l’Ufficio, dopo aver proceduto al contraddittorio, a procedere con applicazione dei metodi sussidiari di cui agli artt. 30 e 31 sopra più volte citati. Nella specie, la CTR non si è attenuta al suddetto principio, in quanto, con una motivazione peraltro del tutto incongrua, ha ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento e rettifica in questione con i quali l’Autorità doganale aveva determinato il valore in dogana delle merci importate attraverso la consultazione del sistema denominato COGNOS M.E.R.C.E., senza però precisare, nella loro completezza, i seguenti elementi: 1) se la percentuale tra il valore dichiarato e quello ritraibile dalla media dei beni similari classificati nella banca dati suddetta fosse risultata superiore o meno al 50%, e, dunque, fosse sufficiente a giustificare i dubbi dell’Amministrazione doganale circa l’inattendibilità del valore di transazione; 3) se a fronte di fondati dubbi, fosse stata rispettata la procedura di cui all’art. 181bis, par. 2, cit.; 3) se l’Agenzia avesse fatto ricorso, in primo luogo, ai metodi di valutazione immediatamente sussidiari al valore di transazione ossia a quelli stabiliti dall’art. 30 C.D.C., in successione; 4) quali fossero state, nel caso, le ragioni tali da fare escludere la possibilità di rispettare l’ordine previsto dal C.D.C..

In ultimo, con riguardo all’iva oggetto del giudizio, come correttamente sottolineato da parte ricorrente in memoria, il fatto generatore dell’obbligazione tributaria dell’IVA, al pari di quello dell’obbligazione doganale, è costituito dall’importazione e pertanto i soggetti obbligati al relativo versamento risulterebbero coloro che presentano le merci in dogana, ossia solidalmente l’importatore e il suo rappresentante doganale indiretto; invece, secondo orientamento consolidato “l’autore della dichiarazione doganale non risponde del mancato versamento dell’imposta” (Cass. nn. 23674/2019 e 29195/2019); e il Giudice dell’Unione ha ripetutamente affermato che “i dazi all’importazione non includono l’Iva da riscuotere per l’importazione dei beni” (Corte di Giustizia, 2 giugno 2016, C- 226-228/14, Eurogate; Corte di Giustizia, 29 luglio 2010, C-248/09, Pakora Pluss).

– la sentenza è pertanto cassata con rinvio al giudice dell’appello per nuovo esame del merito nel rispetto dei principi sopra illustrati.

 

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