Obbligo di contraddittorio endoprocedimentale: ecco il rinvio alla Corte Costituzionale.

by Luca Mariotti

Con una convincente ed articolata Ordinanza (n. 736 del 21 dicembre 2015 depositata il 18 gennaio 2016) la prima Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana, presieduta dal Dott. Mario Cicala, rinvia alla Corte Costituzionale la questione della eventuale illegittimità del  7° comma dell’art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212, nella parte in cui riconosce al contribuente il diritto a ricevere copia del verbale con cui si concludano le operazioni di   accertamento   e di disporre di un termine di 60 giorni per eventuali controdeduzioni, nelle sole ipotesi in cui la Amministrazione abbia   “effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività” del contribuente.

Teniamola bene a mente perché siamo certi che sia il preludio inevitabile all’affermazione del principio di contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio in ogni tipo di accertamento. Principio che sarebbe forse arrivato prima o poi per via normativa. Sappiamo infatti che esiste la previsione dell’art. 9, comma 1, lettera b), della legge delega in materia fiscale n. 23 del 2014. La norma prevede di “rafforzare il contraddittorio nella fase di indagine” e di subordinare i “successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale”.

Tale principio, per la verità, pareva negli anni più recenti essersi consolidato nel nostro ordinamento per alcune sentenze delle  Sezioni Unite (sentenza n. 18184 del 2013, nn. 19667 e 19668 del 2014), secondo le quali la mancata instaurazione del contraddittorio avrebbe comportato come conseguenza la nullità degli atti di accertamento emanati.

Poi la recentissima sentenza  n.  24823    del  9    dicembre 2015, sempre delle Sezioni Unite, ha rivisto la questione. Il principio affermato è quello per cui,  a differenza   dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica   prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di   tributi “non armonizzati” l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito. Si può poi per completezza ricordare che secondo la sentenza 24823/15 anche in   tema di   tributi   “armonizzati” (quali l’IVA), avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta l’invalidità dell’atto, solo quando   il contribuente assolva l’onere   di   enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato,   e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione  al   canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto.

Per la Regionale Toscana di fatto, oggi l’istruttoria fiscale è affidata quasi esclusivamente alla Amministrazione che -ad esempio- raccoglie dichiarazioni di persone informate dei fatti. Dichiarazioni che possono compromettere  l’esito del processo anche se, si suole ripetere che  non sono vere testimonianze, ossia prove, ma solo indizi.

Il dispositivo che conclude il  processo tributario è assai spesso  determinato da indizi e quindi la distinzione fra indizio e prova sfuma, diviene quasi impercettibile; in un processo  in  cui  l’esito  sfavorevole  al  privato    può  essere  determinato  dal  “più probabile  che  non”  e  non  occorre  certo  il  superamento,  necessario  invece  nel processo penale, di “ogni ragionevole dubbio”.

Di  conseguenza,  gli  “indizi”  raccolti  dalla  Amministrazione  svolgono  un  ruolo decisivo e producono effetti identici  a quelli propri di una istruttoria giudiziaria.

La sancita impossibilità che le persone “informate dei fatti” siano udite nell’ambito della procedura   contenziosa con le garanzie del contraddittorio, rende necessaria una   garanzia nella fase amministrativa in cui le dichiarazioni di queste persone sono raccolte e documentate.

Né appare sufficiente a bilanciare gli inconvenienti evidenziati la possibilità riconosciutagli dalla giurisprudenza maggioritaria di    “introdurre in giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, compete non solo all’Amministrazione finanziaria, che tali dichiarazioni abbia raccolto nel corso d’indagine amministrativa, ma, altresì, con il medesimo valore probatorio, al contribuente”. “E’ infatti evidente che queste dichiarazioni raccolte privatamente non costituiscono una forma di adeguato contraddittorio anche quando le dichiarazioni siano raccolte (ma con quale autorità ed autorevolezza?) attraverso l’esame dei medesimi soggetti   ascoltati dal Pubblico Ufficio”.

Tutto ciò evidenzia la non manifesta infondatezza del dubbio di illegittimità costituzionale che investe il 7° comma dell’art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212, nella parte in cui riconosce al contribuente il diritto a ricevere copia del verbale con cui si concludano le operazioni di accertamento (ad esempio compiute mediante acquisizione di dati bancari, o accesso nei locali non di pertinenza del contribuente stesso) e di disporre di un termine di 60 giorni per eventuali controdeduzioni, alle sole ipotesi in cui la Amministrazione abbia   “effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività” del contribuente.

I giudici toscani concludono quindi che secondo questa impostazione “Alcuni  hanno  diritto  al    contraddittorio  altri  no  in  relazione al  fatto  -in  sé  non pertinente-  di  aver  subito  una  ispezione”.  

La questione della eventuale illegittimità costituzionale dell’articolo 10 comma sette dello “statuto”viene quindi ritenuta non manifestamente infondata in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111, 117   Cost.

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