Non è consentito modificare la motivazione dell’atto impositivo in corso di causa. La “voluntary” non ha valore di dichiarazione di successione integrativa.

by admintrib

L’Ordinanza 30 giugno 2022 n. 20933 (Pres. Chindemi, Rel. Russo) della quinta sezione accoglie il ricorso di una contribuente che si era vista soccombente nei due gradi di merito, evidentemente non avendo evidentemente né i giudici provinciali né quelli regionali centrato le questioni che appaiono viceversa centrate e ben motivate dalla Sezione Tributaria.

In sostanza la contribuente aveva presentato e successivamente integrato una denuncia di successione (l’ultima integrativa era del 11 aprile 2013).

Successivamente a dicembre del 2015 aveva aderito alla procedura di collaborazione volontaria dichiarando in essa una cospicua disponibilità estera già in capo al de cuius e che non era stata dichiarata in successione.

L’Agenzia delle Entrate a ottobre del 2016 (quindi oltre due anni dal pagamento della successione) emetteva un accertamento per infedele dichiarazione di successione recuperando proprio le attività inserite nella voluntary disclosure. Nella risposta alla istanza di autotutela della contribuente qualificava la presentazione della disclosure come una dichiarazione di successione integrativa.

Nel giudizio di primo grado l’Ufficio mutava le proprie ragioni espresse nella motivazione dell’atto impositivo. Faceva notare, in particolare, che l’istanza di volontary disclosure doveva essere considerata a una dichiarazione integrativa nulla, in quanto non presentata con le modalità prescritte dall’articolo 27 e pertanto omessa; di conseguenza in caso di omissione della dichiarazione, anche integrativa , l’ufficio deve liquidare la maggiore imposta sui beni emersi da tale dichiarazione.

Dopo un’ampia dissertazione sui termini e sulla normativa sulla procedura di collaborazione volontaria i Giudici di Legittimità concentrano la loro attenzione sull’’avviso di rettifica e liquidazione della dichiarazione di successione integrativa presentata in data 11 aprile 2013. Con riguardo ad esso è con riferimento alla sua motivazione alla sua causa petendi che deve valutarsi la tempestività e legittimità della azione accertativa. Inteso quale rettifica, ai sensi del comma 3 dell’art. 27 del T.U., della dichiarazione integrativa dell’11 aprile 2013, l’avviso è fuori termine perché notificato nell’ottobre 2016, a fronte di un pagamento effettuato – come dedotto in ricorso senza contestazioni sul punto—in data 12 giugno 2013. Né l’eccezione di decadenza può essere superata invocando in giudizio una diversa ragione della pretesa impositiva e diversamente qualificando l’atto impositivo, ovvero attribuendo alla dichiarazione della contribuente una valenza non regolarmente contestata.

L’ufficio non può infatti modificare, integrare o sostituire in corso di causa i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa evidenziati nell’avviso di accertamento o di liquidazione e non può invocare a fondamento delle proprie pretese ragioni diverse da quelle di cui all’atto impositivo (Cass.n. 13163 del 16/05/2019). La motivazione dell’avviso, infatti, assolve ad una pluralità di funzioni atteso che garantisce il diritto di difesa del contribuente, delimitando l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella successiva fase processuale contenziosa, consente una corretta dialettica processuale, presupponendo l’onere di enunciare i motivi di ricorso, a pena di inammissibilità, e la presenza di leggibili argomentazioni dell’atto amministrativo, contrapposte a quelle fondanti l’impugnazione, e, infine, assicura, in ossequio al principio costituzionale di buona amministrazione, un’azione amministrativa efficiente e congrua alle finalità della legge, permettendo di comprendere la “ratio” della decisione adottata ( Cass. n. 22003 del 17/10/2014). Pertanto, l’integrazione o la modificazione dell’originario avviso di accertamento determina una nuova pretesa rispetto a quella iniziale, da formalizzarsi, a garanzia del contribuente, con l’adozione di un nuovo atto impositivo che, sostituendosi al primo, indichi i nuovi elementi di fatto, di cui è sopravvenuta la conoscenza; di regola non necessitano di forme o motivazioni particolari le riduzioni della pretesa originaria, non integrante di per sé una nuova pretesa, salvo che le modificazioni apportate alla pretesa fiscale introducano elementi innovativi, idonei a modificare il fondamento del rapporto giuridico d’imposta circoscritto con il primo atto sostituito (Cass. n. 39808 del 14/12/2021)

L’Agenzia delle entrate, con l’atto di autotutela e con le difese che ha spiegato nel giudizio, ha sostanzialmente cambiato le ragioni della pretesa impositiva: non più una rettifica della dichiarazione dell’11 aprile 2013 bensì la liquidazione di imposta in ragione della dichiarazione di successione “anomala” contenuta –ad avviso dell’Agenzia e pur in assenza delle debite forme- nella voluntary disclosure stessa.

Per esercitare la pretesa sulla base di questa nuova e diversa ragione, l’ufficio avrebbe dovuto emettere un nuovo atto impositivo, corredato della relativa motivazione.

Le ragioni poste a base dell’atto impositivo segnano infatti i confini del processo tributario, che è un giudizio di impugnazione dell’atto, essendo precluso all’ ufficio finanziario di porre a base della propria pretesa ragioni diverse e modificare nel corso del giudizio la motivazione dell’atto stesso ( Cass. n. 10585 del 13/05/2011)

Si evidenzia quindi l’errore del giudice d’appello, che ha ritenuto trattarsi di una semplice diversa qualificazione giuridica dei fatti portati al suo esame, senza tenere conto che all’esame del giudice tributario viene portato a un già un fatto, bensì un atto impositivo e la pretesa con esso esercitata, la cui motivazione e la relativa indicazione dei presupposti impositivi delimita, come sopra si è detto, l’ambito del giudizio tributario. Ne consegue l’accoglimento del ricorsola cassazione della sentenza impugnata e non essendo necessari ulteriori accertamenti l’accoglimento dell’originario ricorso della contribuente.

 

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