La Cassazione sull’obbligo di motivazione delle sentenze (tributarie)

by admintrib

 

La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, nella Ordinanza 21 giugno 2022 n. 20045 (Pres. Manzon, Rel. Hmeljak) accoglie il ricorso di un contribuente che lamentava l’omessa motivazione della Sentenza della CTR. E richiama alcuni importanti principi che forse è bene sottolineare ancora, anche a beneficio dei Giudici di merito che spesso, incuranti di tutto, continuano ad emettere pronunce criptiche, illogiche, sintetiche o addirittura incomprensibili in punto di motivazione.

La Corte rammenta che le Sezioni Unite (con la sentenza n. 8053 del 7.04.2014), hanno statuito che l’anomalia motivazionale denunciabile in Cassazione è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Deve trattarsi, dunque, di un’anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile. Solo in tali casi la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, in quanto, benchè graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. 3.11.2016, n. 22232);

Nel caso specifico, dopo avere richiamato la giurisprudenza in materia di distribuzione dell’onere probatorio con riferimento alle fatture per operazioni inesistenti, la CTR ha affrontato la questione sulla valenza probatoria dell’atto pubblico con riferimento al contratto di compravendita, ritenendolo irrilevante ai fini della prova dell’effettività della cessione e limitandosi a precisare, alla fine, a sostegno della propria decisione, che “l’Ufficio ha proposto una serie di comportamenti che fanno fondatamente presumere la fittizietà degli atti posti in essere, presumibilmente allo scopo di spogliare il Nicolai del proprio patrimonio di fonte ad eventuali creditori e alle loro azioni esecutive. Rispetto alla plausibile ricostruzione dei fatti fornita dall’Ufficio nessuna prova valida circa l’effettività delle operazioni intercorse viene fornita dal Nicolai con la conseguenza che le riprese in contestazione devono essere integralmente confermate”.

Ciò senza in alcun modo descrivere quali fossero i “comportamenti” sulla base dei quali si doveva ritenere provata la natura simulata del contratto, che ha dato luogo al recupero dell’IVA.

Di conseguenza le scarne argomentazioni contenute nella sentenza impugnata non permettono di comprendere il percorso argomentativo svolto dal giudice di appello che ha ritenuto di riformare la decisione di primo grado, senza nemmeno indicare gli elementi di fatto posti alla base della pretesa fiscale, in contrapposizione alle allegazioni della contribuente.

Poiché tali carenze non possono essere certamente integrate dall’interprete in via congetturale, con le più varie, ipotetiche argomentazioni, l’impossibilità di individuare l’effettiva ratio decidendi rende meramente apparente la motivazione della sentenza impugnata (Cass. S.U. 3.11.2016, n. 22232);

Ne consegue che, in accoglimento del primo motivo del ricorso, la sentenza è dichiarata nulla e cassata con rinvio alla CTR in diversa composizione.

 

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