Niente imposte indirette sul disponente e sul trustee fino al reale trasferimento del bene a favore del beneficiario

by admintrib

L’ordinanza 19745 del 20 giugno 2022 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nella (Pres. De Masi, Rel. Balsamo) accoglie il ricorso di un Notaio avverso la sentenza della CTR che aveva ritenuto che le imposte di donazione dovessero essere pagate, nel conferimento in Trust di partecipazioni, in applicazione dell’art. 2, commi 47 e 49, d.l. n. 262 del 2006, conv. con modif. in . n. 286 del 2006, perché il Trust era riconducibile alla categoria dei vincoli di destinazione.

La Corte di Cassazione, conformemente al recente orientamento in materia, è di diverso avviso e argomenta, nella specifica pronuncia, con dovizia di riferimenti.

Dal punto di vista normativo, i Giudici ricordano che l’art. 2, d.l. n. 262 del 2006, conv. con modif. in L. n. 286 del 2006, al comma 47 ha istituto l’imposta sulle successioni e donazioni «sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54».

Nel reintrodurre nell’ordinamento l’imposta sulle successioni e donazioni (abrogata dall’art. 13 I. n. 383 del 2001) la norma appena riportata ha rimodulato la configurazione del tributo, ampliandone) base impositiva con l’inclusione di tutti i trasferimenti a titolo gratuito ed anche degli atti con cui si costituiscono vincoli di destinazione. È evidente che l’estensione dell’imposizione al più ampio genus degli atti a titolo gratuito (rispetto alla species delle sole liberalità previste in origine dall’art. 1 del d.lgs. n. 346 del 1990) conduce a correlare il presupposto del tributo all’accrescimento patrimoniale (senza contropartita) del beneficiario, anziché all’animus donandi, che infatti difetta negli atti a titolo gratuito diversi dalle liberalità.

Anche per quanto riguarda la costituzione dei vincoli di destinazione, la Cassazione, superando le incertezze interpretative originariamente sorte, è oramai consolidata nel ritenere che l’art. 2, comma 47, cit. abbia mantenuto, come presupposto impositivo, quello stabilito dall’art. 1 d.lgs. n. 346 del 1990, e cioè il “reale trasferimento” di beni o diritti, e quindi il “reale arricchimento” dei beneficiari, aggiungendo espressamente, tra gli atti suscettibili d’imposizione (oltre ai trasferimenti a titolo gratuito, anche) la costituzione dei vincoli di destinazione, per evitare che un’interpretazione restrittiva, determinata dal rinvio all’abrogato d.lgs. n. 346 del 1990, potesse portare, in tali ipotesi, all’esclusione dell’imposta, che invece non era contemplata nel d.lgs. n. 346 del 1.990, semplicemente perché, all’epoca, la costituzione di tali vincoli non era ancora prevista nel nostro ordinamento (così Cass., Sez. 5, n. 1131 del 17/01/2019; v. anche Cass., Sez. 5, n. 19167 del 17/07/2019 e, in motivazione, Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020).

Tale soluzione risponde alla necessità di operare una lettura costituzionalmente orientata della normativa in esame (artt. 53 e 23 Cost.), attribuendo giusto rilievo al fatto che l’imposta disciplinata dal d.lgs. n. 346 del 1990, richiamato dall’art. 2, comma 47, sopra riportato, non può non essere posta in relazione con “un’idonea capacità contributiva”. Pertanto, nell’ambito concettuale dei negozi costitutivi di vincoli di destinazione sono senza dubbio compresi gli atti di destinazione di cui all’art. 2645 ter c.c., come pure qualsiasi atto volto alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo, e dunque anche l’istituzione di un trust, ma ciò non è sufficiente a giustificare l’applicazione dell’imposta in questione, perché deve operarsi un effettivo trasferimento di ricchezza, che sia indice di un’acquisita maggiore capacità contributiva.

In conformità con la Convenzione dell’Aja risulta evidente il carattere fiduciario del rapporto fra disponente e trustee, il quale acquista la proprietà dei beni o dei diritti conferiti nel trust, non a proprio vantaggio – perché non incrementano il suo patrimonio personale, ma restano separati e segregati – ma per compiere gli atti di gestione (e, se previsti, di disposizione), che consentano di realizzare lo scopo per il quale il trust è stato istituito, non nell’interesse proprio, ma di terzi. Come emerge da quanto appena evidenziato, l’istituzione del trust e la destinazione ad esso di beni o diritti non implicano, da soli, un effettivo incremento di ricchezza in favore del trustee, nei termini sopra evidenziati, e pertanto non possono costituire un indice di maggiore forza economica e capacità contributiva di quest’ultimo. I beni e i diritti non sono a lui attribuiti in modo definitivo, essendo egli solo tenuto solo ad amministrarli e a disporne (se richiesto), in regime di segregazione patrimoniale, in vista del trasferimento che dovrà poi compiere. Né può ritenersi che la dotazione del trust – così come la sua costituzione – produca un effetto incrementativo della capacità contributiva del disponente, il cui patrimonio non subisce alcun miglioramento.

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