Litisconsorzio necessario e scindibilità delle cause. La Cassazione chiede l’intervento delle Sezioni Unite sulla lettura degli artt. 331 e 332 c.p.c. in rapporto al D.Lgs. n. 546 del 1992 art. 53, comma 2

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L’ Ordinanza Interlocutoria 1° marzo 2023, n. 6204 della Sezione Tributaria (Pres. Bruschetta Rel. Caradonna) rimette gli atti al primo presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite in relazione alla questione del litisconsorzio necessario in grado di appello.

Viene infatti ravvisato un preesistente disallineamento della giurisprudenza.

La giurisprudenza della Corte ha infatti ritenuto applicabile al processo tributario di secondo grado gli stessi principi che regolano nel processo civile le cause inscindibili e quelle scindibili.

In particolare, è stato affermato che l’esplicita e chiara formulazione del D.Lgs. n. 546 del 1992 art. 53, comma 2, impone all’appellante principale nel giudizio tributario di notificare l’impugnazione a tutti i soggetti che erano stati parte nel giudizio di primo grado, determinando quindi un’ipotesi normativa di litisconsorzio necessario di natura processuale; sicchè, coerentemente con tale impostazione, l’art. 54 del D.Lgs. n. 546 del 1992, nel disciplinare le modalità di proposizione dell’appello incidentale, ne impone esclusivamente la formulazione nel contesto della memoria di controdeduzioni ed il deposito nei termini previsti per tale atto, senza imporre all’appellante incidentale alcun onere di notifica a parti non evocate in giudizio dall’appellante incidentale (Cass., 15 luglio 2020, n. 14982; Cass., 18 aprile 2017, n. 9757; Cass., 27 maggio 2015, n. 10934; Cass., 6 novembre 2013, n. 24868).

E’ stato, altresì, precisato che il concetto di litisconsorzio necessario va riferito non solo alle ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale, ma anche alle ipotesi di litisconsorzio necessario processuale, che si verificano quando la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio e che l’esplicita e chiara formulazione dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546 del 1992 impone all’appellante principale nel giudizio tributario di notificare l’impugnazione a tutti i soggetti che erano stati parte nel giudizio di primo grado, determinando quindi un’ipotesi normativa di litisconsorzio necessario di natura processuale. Infatti l’obbligatorietà dell’integrazione del contraddittorio nella fase dell’impugnazione, al fine di evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio, sorge non solo quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata nei confronti di tutte le parti tra le quali esiste litisconsorzio necessario sostanziale e l’impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte, ma anche nel caso del cosiddetto litisconsorzio necessario processuale, quando l’impugnazione non risulti proposta nei confronti di tutti i partecipanti al giudizio di primo grado, sebbene non legati tra loro da un rapporto di litisconsorzio necessario, sempre che si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti (art. 331 c.p.c.), nel qual caso la necessità del litisconsorzio in sede di impugnazione è imposta dal solo fatto che tutte le parti siano state presenti nel giudizio di primo grado (cfr. Cass., 19 agosto 2020, n. 28562; Cass., 14 dicembre 2019, n. 33028; Cass., 6 novembre 2019, n. 28562; Cass., 9 dicembre 2019, n. 32085; Cass., 24 maggio 2019, n. 14213; Cass., 8 marzo 2019, n. 6833 del 2019; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27616; Cass., 27 maggio 2015, n. 10934. Ancora è stato ritenuto che anche nel processo tributario l’art. 331 c.p.c. trova applicazione anche nelle cause dipendenti, che riguardano due o più rapporti scindibili, ma logicamente interdipendenti tra loro o dipendenti da un presupposto di fatto comune, che meritano, per esigenze di non contraddizione, l’adozione di soluzioni uniformi nei confronti delle diverse parti che abbiano partecipato al giudizio di primo grado (Cass., 28 febbraio 2018, n. 4597; Cass. 13 luglio 2016, n. 14253; Cass. 19 gennaio 2007, n. 1225), ribadendosi, altresì, che il concetto di causa “inscindibile”, di cui all’art. 331 c.p.c., va riferito non solo alle ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale, ma anche a quelle di litisconsorzio necessario processuale, che si verificano quando la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio (Cass. 22 gennaio 1998, n. 567; Cass., 1 aprile 1999, n. 3114; Cass., 1 marzo 2011, n. 2998; Cass., 6 novembre 2002, n,. 15546; Cass., 8 agosto 2003, n. 11946; Cass., Sez. U., 12 dicembre 2006, n. 26420; Cass., 26 gennaio 2010, n. 1535; Cass., 8 novembre 2017, n. 26433; Cass., 29 marzo 2019, n. 8790).

E’ stato, inoltre, affermato che, nel processo tributario, in caso di litisconsorzio processuale, che determina l’inscindibilità delle cause anche ove non sussisterebbe il litisconsorzio necessario di natura sostanziale, l’omessa impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti non determina l’inammissibilità del gravame, ma la necessità per il giudice di ordinare l’integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., nei confronti della parte pretermessa, pena la nullità del procedimento di secondo grado e della sentenza che l’ha concluso, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità (Cass., 30 ottobre 2018, n. 27616; Cass., 27 maggio 2015, n. 10934) e che, nell’ipotesi di omessa impugnazione nei confronti di tutte le parti di sentenza pronunciata in causa inscindibile – da riferirsi, oltre che al litisconsorzio necessario sostanziale, anche a quello processuale – il giudice di appello, in applicazione dell’art. 331 c.p.c., deve disporre l’integrazione del contraddittorio, sicchè, in difetto di emissione di tale ordine, il gravame non è inammissibile, ma solo nullo l’intero procedimento di secondo grado e la sentenza che lo ha concluso e il relativo vizio è rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità (Cass., 4 dicembre 2014, n. 25719).

Si tratta di pronunce, tutte, che muovendo dal presupposto dell’applicabilità dell’art. 331 c.p.c., al processo tributario e dalla premessa che quest’ultima norma disciplina sia il litisconsorzio necessario sostanziale, che quello processuale, assumono la necessità, solo nelle cause inscindibili o dipendenti, di ordinare nel giudizio tributario di secondo grado l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le parti del processo di primo grado, in virtù del disposto normativo di cui all’art. 53, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, che, tuttavia, nulla dice in tema di inscindibilità o di dipendenza di cause; considerazione che rileva a fronte di numerose altre pronunce che, partendo dal presupposto della scindibilità delle cause, hanno affermato l’insussistenza dell’obbligo di disporre la notificazione dell’atto di appello in favore della parte, pure presente nel giudizio di primo grado, sull’assunto della sua estraneità al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e della conseguente scindibilità della causa, ritenendo insussistente la violazione dell’art. 53, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992.

E’ stato così affermato che il litisconsorzio in appello tra l’Amministrazione finanziaria e il concessionario del servizio di riscossione (nel caso di evocazione in giudizio di entrambi in primo grado) sussiste solo nel caso di cause inscindibili, per aver le censure investito, oltre al merito della pretesa tributaria, anche vizi propri della cartella, con la conseguenza che nelle ipotesi in cui le censure investano vizi propri della cartella non sussiste alcuna violazione del contraddittorio nei confronti dell’Ente di riscossione (Cass., 5 novembre 2021, n. 31922; Cass., 28 aprile 2021, n. 11165; Cass., 14 settembre 2020, n. 19074; Cass., 29 aprile 2020, n. 8329; Cass., 27 ottobre 2017, n. 25588; Cass., 3 gennaio 2014, n. 45) e che qualora la controversia abbia ad oggetto solo l’esistenza dell’obbligazione tributaria, la mancata proposizione dell’appello anche nei confronti del concessionario del servizio di riscossione, convenuto in primo grado unitamente all’Amministrazione finanziaria, non comporta l’obbligo di disporre la notificazione del ricorso in suo favore, quando sia ormai decorso il termine per l’impugnazione, essendo egli estraneo al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, con la conseguente scindibilità della causa nei suoi confronti, anche nel caso in cui non sia stato eccepito o rilevato il suo difetto di legittimazione (Cass., 14 luglio 2021, n. 20038).

E’ stato, inoltre, osservato che, in tema di contenzioso tributario, l’art. 53, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, secondo cui l’appello deve essere proposto nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili e cause scindibili, ai sensi degli artt. 331 e 332 c.p.c., con la conseguenza che, in presenza di cause scindibili, la mancata proposizione dell’appello nei confronti di tutte le parti presenti in primo grado non comporta l’obbligo di integrare il contraddittorio quando, rispetto alla parti pretermesse, sia ormai decorso il termine per l’impugnazione (Cass., 27 ottobre 2017, n. 25588, citata, che ha ritenuto esente da critiche l’omessa integrazione del contraddittorio in appello nei confronti del concessionario del servizio di riscossione, convenuto nel giudizio di primo grado insieme all’Amministrazione finanziaria, tenuto conto che l’impugnazione aveva ad oggetto solo l’esistenza dell’obbligazione tributaria e che il termine per impugnare era già decorso (Cass., 12 novembre 2014, n. 24083). Cass., 9 maggio 2007, n. 10580).

La Corte, nelle pronunce citate, ha richiamato il principio secondo cui «In tema di contenzioso tributario, qualora il contribuente abbia impugnato una cartella esattoriale, emessa dal concessionario per la riscossione, per motivi che non attengono a vizi della cartella medesima, il ricorso deve essere notificato all’ente impositore (nella specie l’Agenzia delle Entrate) quale titolare del credito oggetto di contestazione nel giudizio, essendo il concessionario un mero destinatario del pagamento, o più precisamente, mutuando lo schema civilistico dell’art. 1188 c.c., il soggetto incaricato dal creditore ed autorizzato a ricevere il pagamento” (cfr. Cass., 16 febbraio 2022, n. 5062; Cass., 14 settembre 2020, n. 19074; Cass., 15 aprile 2011, n. 8613; Cass. 24 settembre 2014, n. 201424), nonchè l’ulteriore principio secondo cui « In materia tributaria, ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. n. 546 del 1992 in caso di impugnazione di cartella esattoriale, la legittimazione passiva esclusiva del concessionario del servizio di riscossione dei tributi sussiste se l’impugnazione concerne vizi, propri della cartella o del procedimento esecutivo, mentre può agire indifferentemente nei confronti dell’ente impositore o dell’agente della riscossione, senza che sia configurabile alcun litisconsorzio necessario, qualora i motivi di ricorso attengano alla debenza del tributo” (Cass., 28 aprile 2017, n. 10528; Cass., 9 novembre 2016, n. 22729; Cass., 2 febbraio 2012, n. 1532).

Anche queste pronunce, così come le precedenti, pongono la questione della compatibilità o meno delle regole contenute negli artt. 331 e 332 c.p.c. con il processo tributario e, in particolare, con l’art. 53, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, sulla base del presupposto secondo cui anche nel processo tributario vale la dicotomia cause scindibili e inscindibili, per cui, quando le cause sono scindibili e la parte pretermessa non ha avuto notificato l’appello e sono decorsi i termini per proporre l’appello, non occorre integrare il contraddittorio. Nella sostanza si afferma che il legislatore tributario, con la disposizione di cui al comma 2 dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546 del 1992 non abbia introdotto, con specifico riferimento al processo tributario di appello, una fattispecie di litisconsorzio processuale (generalizzato) senza deroghe, ovvero indipendentemente dalla circostanza che le cause siano scindibili o meno; va da sè che secondo l’opposta lettura dell’art. 53, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, l’art. 332, comma 1, c.p.c. non potrebbe trovare applicazione nel processo tributario per incompatibilità con le regole che lo disciplinano, secondo la clausola di salvaguardia ex art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992.

Nel processo tributario, inoltre, tenuto conto che l’appello incidentale può essere proposto solo con il deposito dell’atto contenente le controdeduzioni, ai sensi dell’art. 54 del D.Lgs. n. 546 del 1992, la parte appellata che ha interesse ad impugnare nei confronti di tutte le parti presenti nel giudizio di primo grado, nelle cause scindibili (come è quella in esame), non può notificare la sua impugnazione incidentale alle parti presenti nel giudizio di primo grado ai quali l’appellante principale non ha notificato il suo atto di appello, così non consentendogli di instaurare il contraddittorio con le parti interessate dal capo della sentenza da lui appellata e che lo ha visto soccombente, con l’evidente grave lesione del suo diritto di difesa. La questione posta è, dunque, quella di accertare se l’art. 53, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, disciplini o meno un litisconsorzio necessario processuale che imponga sempre, prescindendo dal carattere scindibile o inscindibile delle cause o della loro dipendenza ai sensi degli artt. 331 e 332 c.p.c., l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i partecipanti al giudizio di primo grado, ovvero se il legislatore abbia inteso rendere la materia del litisconsorzio nel processo tributario di secondo grado autonoma rispetto a quella contenuta nel codice di procedura civile, così evidenziando gli aspetti peculiari della disciplina del processo tributario di appello e tra questi le modalità di proposizione dell’appello tributario stabilite dall’art. 54 del D.Lgs. n. 546 del 1992.

In conclusione, il Collegio, in considerazione della particolare importanza delle questioni di diritto sottoposte, ha ritenuto opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente della Corte, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., ai fini dell’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

 

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