Lista Falciani utilizzabile come unico elemento di prova negli accertamenti tributari. Anche prima del d.l. 78/2009. Tutto giusto?

by admintrib

L’ordinanza della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione n. 27528 del 20 settembre 2022 (Pres. Sorrentino, Rel. De Rosa) si occupa di una vicenda correlata alla famosa “lista Falciani”.

Le conclusioni sono quelle ormai usuali. La presenza di conti esteri, rinvenuti con garanzie di acquisizione e di contraddittorio praticamente nulle, è una prova sufficiente a motivare e rendere lecito un avviso di accertamento.

Intanto il fatto originante. Ovvero la prova dell’esistenza di un conto estero in paradisi fiscali. Per la Corte la prova è fornita dal fatto che le informazioni riguardanti la ricorrente venivano acquisite dall’amministrazione fiscale italiana presso l’amministrazione fiscale francese attraverso i canali istituzionali della collaborazione informativa internazionale previsti dalla direttiva n. 77/799/CEE del Consiglio del 19 dicembre 1977 e dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia; in particolare, tale direttiva stabilisce che gli Stati debbono scambiarsi, a richiesta o no, ogni informazione che sembri utile per un corretto accertamento delle imposte sul reddito o sul patrimonio chiarendo che in tal modo le procedure di scambio di informazioni previste nella direttiva sono finalizzate alla repressione dei fenomeni di evasione a livello comunitario.

Nel caso di specie, per i Giudici di Legittimità, la C.t.r. ha correttamente motivato riconoscendo la legittimità del diniego di accesso della contribuente alla lista Falciani, trattandosi di documenti attinenti ad operazioni di carattere investigativo nei settori istituzionali, sviluppati con l’apporto e la collaborazione degli organi di polizia fiscali e doganali esteri nonché dei servizi della Commissione dell’Unione Europea e di altri organismi comunitari e internazionali.

Quindi i dati sono stati acquisiti dall’estero, con procedure neppure controllabili dalla contribuente. Figuriamoci poi se sia stato effettuato un contraddittorio in questa situazione. In barba evidentemente alla Carta di Nizza che dovrebbe informare la condotta delle autorità italiane e francesi, avendo la carta, per quanto in essa stabilito, la stessa efficacia dei Trattati.

A questo punto oggi opera una presunzione. Ovvero se il fatto noto è la presenza di conti in paradisi fiscali (abbiamo visto con quali procedure) vale la presunzione di evasione sancita dall’art. 12, comma 2, d.l. n. 78 del 2009, conv. con modif. nella legge n. 102 del 2009, con riferimento all’omessa dichiarazione di investimenti e attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato. Ovvero tutto ciò che si rinviene in questi Stati si suppone sottratto a tassazione in Italia.

Ma la vicenda si svolgeva prima. E allora i Giudici ci dicono che, sebbene la presunzione non sia suscettibile di essere applicata retroattivamente agli anni di imposta antecedenti alla sua entrata in vigore (prevista dal 1° luglio 2009), stante la natura sostanziale e non procedimentale delle presunzioni, l’Ufficio può ricorrere ai medesimi fatti oggetto della suddetta presunzione legale (redditi non dichiarati occultamente detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata) sub specie di presunzione semplice». Conseguentemente, «in tema di accertamento tributario, è legittima l’utilizzazione di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche acquisito in modo irrituale, ad eccezione di quelli la cui inutilizzabilità discende da specifica previsione di legge e salvi i casi in cui venga in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale. Sono, quindi, utilizzabili ai fini della pretesa fiscale, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari trasmessi dall’autorità finanziaria francese a quella italiana, ai sensi della direttiva 77/799/CEE, senza onere di preventiva verifica da parte dell’autorità destinataria, sebbene acquisiti con modalità illecite ed in violazione del diritto alla riservatezza bancaria. (In applicazione di tale principio, questa Corte ha affermato l’utilizzabilità delle risultanze della cd. lista Falciani)» (Cass.05/12/2019, n. 31779).

Infatti, secondo un orientamento ormai consolidato di questa Corte, «in tema di accertamento tributario, l’Amministrazione finanziaria può fondare la propria pretesa anche su un unico indizio, se grave e preciso, cioè dotato di elevata valenza probabilistica (nella specie, risultanze della cd. lista Falciani), operando, peraltro, nell’ipotesi di attività finanziarie non dichiarate detenute in Paesi a fiscalità privilegiata, la presunzione di evasione di cui all’art. 12 comma 2, d.l. 1 luglio 2009, n. 78, conv. con modif. nella legge 3 agosto 2009, n. 102» (Cass. 12/02/2018, n. 3276).

Quindi in un processo in cui non esiste (per ora) la prova testimoniale e nel quale quindi (articolo 2729 secondo coma codice civile) non si dovrebbero ammettere le prove per presunzioni, notoriamente, per consolidata giurisprudenza, si ammettono. Almeno dovrebbero essere ammesse solo quelle gravi precise e concordanti. Ma basta, come sappiamo, un unico elemento presuntivo, talvolta, per fondare la gravità e precisione su di esso. Dubbi rimangono sulla “concordanza”. Oggi sappiamo che basta addirittura un indizio…..

Insomma pare davvero che, lista Falciani a parte, per esigenze di gettito in ambito tributario si stia rinunciando allo stato di diritto. E su questo ci permettiamo di esprimere i nostri dubbi….

Il contribuente aveva eccepito, relativamente alla sentenza della CTR che alla notifica della cartella avvenuta a mani della moglie convivente, non fosse mai seguita la raccomandata informativa di cui all’art. 60 d.P.R. 600/73.

Sul punto, i Giudici di Legittimità rammentano che in tema di avviso di accertamento, l’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, pur rinviando alla disciplina del codice di procedura civile, richiede, a differenza di quanto disposto dall’art. 139, comma 2, c.p.c., anche ove sia consegnato nelle mani di persona di famiglia, ritiene l’invio della raccomandata informativa quale adempimento essenziale della notifica che sia eseguita dai messi comunali o dai messi speciali autorizzati dall’ufficio delle imposte (Cass. V, n. 2868/2017).

Nel caso di specie, invece, non vi erano dubbi che la notifica fosse avvenuta a mani (e non in forma semplificata tramite servizio postale), con consegna alla moglie convivente del contribuente.

Ne consegue che trova applicazione la lettera b ii ) del primo comma art. 60 D.P.R. 600/1973, vigente ratione temporis (perché introdotta con d.l. n. 223/2006), raccomandata del cui invio dev’essere data prova.

Per contro, dall’esame dei fascicoli, emerge che la consegna a mani sita stata fatta da messo comunale e risulta non intellegibile ogni ulteriore riferimento all’invio della prefata raccomandata, dovendosi quindi concludere nel senso che la prova richiesta non è stata fornita.

Viene quindi accolto il ricorso del contribuente con condanna alle spese del giudizio di legittimità per il concessionario.

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